giovedì 10 novembre 2011

un primo consuntivo

un primo consuntivo
il dialogo comincia a prendere timidamente forma e di questo ringrazio le avventurose pionere che si sono messe in gioco accogliendo il mio invito ( e i pioneri dove sono rintanati?). Le ringrazio anche per la fiducia che sembrano nutrire nei confronti del mio esperimento didattico di cui probabilmente vedremo la logica solo alla fine, anche se forse a poco a poco il filo conduttore comincia ad emergere. Seguendo il suggerimento di Socrate che la verità deve essere aiutata a nascere come la levatrice fa con il bambino non voglio anticipare troppi indizi ma solo ricordarvi un inizio la memoria e una fine la Letteratura come memoria culturale. Intanto aspetto da tutti un primo prodotto personale (il commento dell'iscrizione che non abbiamo trattato a lezione): è una verifica necessaria per me e una prova per voi. Naturalmente resto a disposizione per ogni chiarimento relativo al compito come pure per ogni discussione che vogliate aprire su questo blog. Buon lavoro! Pasqua Colafrancesco

71 commenti:

Carmela Caricato ha detto...

oh no sono la prima,non posso paragonarmi con nessuno...va bhe spero di non dire troppe baggianate.

Buttiamoci

Come dati oggettivi, da tale documento, possiamo ricavare il nome della defunta Urbanilla, e il nome del marito, nonché dedicante, Lucio.
Com’è tipico, in questi documenti, ritroviamo la formula “hic sita est”, per indicare il luogo di sepoltura.
Altri dati, per quanto la mia abbozzata traduzione mi ha permesso di capire, non sono presenti.
Rispetto ad altre epigrafe analizzate, molto soggettivamente, percepisco un certo romanticismo, per i termini come “comes” e “socia” [compagna] che mettono in relazione di parità i coniugi, e non come celebrato da altre incisioni un amore univoco, forse dovuto o forse scontato, della moglie nei confronti del marito.
La morte della donna viene resa dall’immagine “luce privata” , dal dualismo assenza di luce/morte, ridata alla donna [cum luci darentur] grazie alle parole del marito incise nella pietra [coniunx texi marmore], la stessa pietra, simbolo della tumulazione, che pone fine alla vita.

Spero che le mie ipotesi non siano troppe lontane dalla realtà, e che sia riuscita ad esprimere il mio pensiero in modo corretto e comprensibile.

Maria Pia Magarelli ha detto...

Come hai detto tu Carmela siamo le prime a "buttarci"...speriamo che la prof. sia clemente con noi! XD
Allora...premetto che sto frequentando il corso propedeutico di lingua latina quindi la mia traduzione e la mia analisi sul testo vacillano ancora un pò.Dopo questa "trionfale" entrata sulla mia poco conoscenza del latino posso andare avanti!XD
Da questo documento scritto di carattere funerario il primo elemento che notiamo, comune a tutti gli altri testi analizzati in aula, è il nome del defunto, in questo caso di sesso femminile, Urbanilla un "nomen singul" a differenza del documento 548 in cui troviamo non solo il nome della defunta ma anche il cognome e il soprannome.
Il secondo elemento che coincide con i testi 558 e 237 è l'espressione "hic sita est/sum" per indicare che il defunto/a si trova qui dove è situato il monumento a lui/lei dedicato: i due verbi "sum" ed "est" indicano chi sta "parlando" in quel momento se il defunto/a (sum) o il committente del testo (est) rivolgendosi in entrambi i casi a chi si appresta a leggere l'epigrafe funeraria.
L'elemento che mi ha più colpito di questo documento è la parola "luce privata" per indicare la morte che "strappa" alla vita questa donna, secondo il mio parere, neppure tanto anziana lasciando un grande dolore nel cuore del marito Lucio costretto a scrivere questa epigrafe per ricordare e far ricordare la sua amata donna anche a chi è soltanto di passaggio e non l'ha mai conosciuta di persona( hospes = il forestiero); un marito che, molto probabilmente, non aveva mai pensato di dover vedere la moglie morire prima di lui.
Il terzo e ultimo elemento curioso è che non ci sono pervenuti in questa epigrafe nè gli anni di questa donna e nè i soliti elementi stereotipati dell'immagine femminile come "casta", "frugi", "pia", "domum servavit", ecc.

In conclusione spero che le mie ipotesi siano giuste o almeno attendibili, corrette e comprensibili!
Buona serata! :)

Mariangela Berardi ha detto...

Anch'io, con la speranza di non aver frainteso nulla, pubblico il mio commento =)

L'epigrafe funeraria in versi CLE 516 non presenta praescriptio; il lettore viene subito a conoscenza del nome della defunta, Urbanilla, posto in apertura di componimento. La classica struttura segnaletica "Hic sita est", di solito incipitaria, è in questo caso collocata in chiusura del primo verso.
A parlare è Lucio, marito della donna e dedicante del monumento ("Lucius ego coniunx hic te marmore texi" con "hic" che ancora una volta indica il luogo in cui è posto fisicamente il monumento). Non possediamo altre rilevanti indicazioni circa ceto sociale e famiglia della defunta.

A mio parere, benché non sia la defunta a parlare in prima persona, l'iscrizione riesce a creare un notevole coinvolgimento emotivo. Infatti Lucius si rivolge all' hospes, al lettore-passante, parlando in prima persona, instaurando con lui un discorso diretto. Questo è un elemento di novità, almeno rispetto alle altre iscrizioni analizzate a lezione.

Dunque il lettore ascolta dalla voce del marito/dedicante la descrizione delle virtù della defunta; in questo caso siamo in presenza di un buon equilibrio tra descrizione stereotipata della donna, come già incontrata in altri casi, e dato reale, caratteristico e relativo solo ad Urbanilla. Infatti la donna è presentata, secondo motivi topici, come parsimoniosa ("socia parsimonio fulta") e amministratrice della casa ("domum servare meam"), ma accanto a ciò il marito le attribuisce il ruolo di comes e socia, colei che lo ha affiancato nei negotia romani ed è spesso intervenuta in suo aiuto con i suoi consigli e la sua saggezza (consilium iuvare); saggezza che, in questo caso, leggerei come pragmatico "fiuto per gli affari" di questa già ottima economa domestica.

Apprendiamo anche il luogo della morte della donna, Cartagine : "miseram Carthago mihi eripuit sociam".

Efficaci sono le varie notazioni di sofferenza del dedicante, che mirano a creare empatia e commozione nel lettore ("nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali").

Infine Lucius smette di parlare con il lettore per rivolgersi, col vocativo, direttamente alla moglie: "Luce privata" metaforica, Urbanilla è adesso spenta, oscurata dalla pietra che la ricopre e protegge. Da notare l'alternanza di suoni nel verso, ottenuta anche con l'allitterazione del suono M: "misera quescit in marmore clusa".
Segno fra tanti, questo, che l'epigrafe analizzata è un testo letterariamente rilevante, costruito con una certa perizia.

Francesca Monopoli ha detto...

Buon giorno Professoressa,
analizzando il testo con le stesse modalità utilizzate in aula, mi sono posta subito alcune domande fondamentali per la comprensione:
1) è specificato il soggetto? Qual è il suo nome, la sua età/ a quanti anni è morta, dove viveva;
2) chi era in vita? Qual’era la sua posizione sociale, se aveva figli e quanti;
3) Com’era? cos’ha fatto per essere ricordata dai suoi cari?
4) chi è / chi sono i dedicanti?
Dunque rispondendo a queste domande sapremo che:
1)La persona a cui è dedicata l’iscrizione è una donna di nome Urbanilla di cui però non è specificata l’età; impegnata in affari nei pressi di Roma [ Romae comes negotiorum socia]; morta a Cartagine: il dedicante infatti utilizza una formula insolita in cui specifica che “Cartagine gli ha portato via la moglie” [Carthago mihi eripuit].
2) Moglie di Lucio [ Lucius ego coniunx ] e probabilmente senza figli (non è specificato ma questo non vuol dire che non ne avesse).
3) Tra le sue doti vi era la capacità di amministrare bene la casa [illa domum servare meam] (dote spesso ricorrente in questo tipo di testi), e la capacità di dare buoni consigli [illa et consilio iuvare].
4) Lucio è il dedicante del testo in cui, metaforicamente, racchiude/protegge il ricordo della moglie defunta [Lucius ego coniunx hic te marmore texi]. Il dolore del marito è espresso nel momento in cui sottolinea che non sarà più la stessa cosa vivere senza di lei [Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali] e che la Luce, intesa come Vita, è adesso chiusa/ spenta dal marmo che chiude il sepolcro [Luce privata misera quescit in marmore clusa].

Ritengo anche importante sottolineare come in quest’epigrafe non si parli mai della fedeltà della donna al letto coniugale, della dedizione al marito, ma si tende a sottolineare le capacità propriamente intellettive di questa, fatto insolito se paragonato alle altre epigrafi analizzate. é evidente, inoltre, il ricorso alla tipica formula "hic sita est" riferita alla sepoltura.
Sperando di aver compreso correttamente il messaggio che il testo vuole comunicare, pur non essendo capace di fare una traduzione letterale latino/italiano, aspetto il confronto in aula con lei e i miei colleghi. A mercoledì!

Mario Di Stasi ha detto...

Commento al carme 516
Pur presentando formule tipiche del canone epigrafico,in ambito di sepolture femminili,notiamo che in questo carme il dedicante abbia intenzione di far trapelare i reali sentimenti attraverso il freddo monumento:
Lucio affida al marmo la memoria di Urbanilla ,sua coniuge ricca di modestia, e parsimoniosa compagna nell'attività commerciale. Già dai primi versi si denota non solo il diverso attaccamento al coniuge ma anche il ruolo ,ben diverso dal tradizionale, che questa donna ricopriva nella coppia.Non solo amministratrice della casa(domum servare meam) ma consigliera(consilio iuvare)chissà forse anche compagna nei viaggi commerciali del marito e, forse,che proprio durante uno di questi viaggi ,presso Cartagine, abbia perso la vita.Quindi ben oltre il canone di donna fertile,madre di molti figli,casta,fedele e lavorante la lana!Lucio si pone alla pari con la donna amata, un caso raro in una società dalla ferrea struttura patriarcale e duramente misogina.Qui il marito pone ("hic sita est" come incipitale struttura segnaletica)colei ,senza la quale la vita non sarà più la stessa(nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali) affidando al marmo la Luce che l'aveva animata in vita e che ora è persa.

paola bianco ha detto...

buongiorno a tutti,
analizzando l'epigrafe n° 516 e confrontandola con le altre prese in esame qui il committente cioè il marito Lucio pone come incipit Urbanilla - il nome della sua sposa, postponendo "hic sita est" la classica formula incipitaria. probabilmente questa scelta indica la volontà del marito di non voler aderire al modello epigrafico ma vuole sopratutto lasciare memoria del suo amore verso la sua sposa. il testo infatti appare come un canto d'amore e di dolore per la perdita sopratutto quando fa riferimento alla sua vita che non avrà più alcun senso senza di lei. non vi sono indicazioni cronologiche, ma compare Cartagine, luogo dove l'evento tragico è avvenuto. vi compaiono stereotipi quali "domum servare" ma in questo caso irrompe anche un elemento personale quale "consilio iuvare".

paola bianco ha detto...

buongiorno a tutti,
analizzando l'epigrafe n° 516 e confrontandola con le altre prese in esame, qui il committente cioè il marito Lucio pone come incipit Urbanilla - il nome della sua sposa - postponendo "hic sita est" che invece nelle altre compare come incipit. probabilmente questa scelta indica la volontà del marito di non voler aderire al modello epigrafico ma vuole sopratutto lasciare la memoria della sua sposa e del suo amore per lei.
il testo appare infatti come un canto d'amore e di dolore per la perdita sopratutto quando fa riferimento alla sua vita che non avrà più alcun senso senza di lei.
non vi sono indicazioni cronologiche, ma compare Cartagine - luogo dove l'evento tragico è avvenuto.
compaiono stereotipi quali "domum servare" ma in questo caso irrompe anche un elemento personale quale "consilio iuvare".

Daniela Loconsole ha detto...

buongiorno

Analizzando il carme 516 possiamo capire che è dedicato alla defunta Urbanilla.
Troviamo la tipica forma "hic sita est" come nell' epigrafi 237 e 558.
Veniamo a conoscenza anche di quello che faceva nella vita, cioè impegnata in affari a Roma [Romae comes negotiorum socia parsimonio fulta], ed è probabilmente morta nei pressi di cartagine [Au miseram Carthago mihi eripuit sociam].

Anche se non troviamo i soliti elementi descrittivi, notiamo che il marito era molto legato alla moglie, infatti scrive che la sua vita non sarà più la stessa senza di lei [Nulla spes uiuendi mihi sine coniuge tali], la descrive come una "luce".
"Lucius" descrive il monumento funebre misero per il valore che attribuisce alla moglie [Luce priuata misera quescit in marmore clusa].

Per concludere penso che il verso "Illa domum seruare meam..." abbia lo stesso volore/significato di "domum servavit" e "domiseda".

ciao a domani

Daniela Loconsole ha detto...

buongiorno

Analizzando il carme 516 possiamo capire che è dedicato alla defunta Urbanilla.
Troviamo la tipica forma "hic sita est" come nell' epigrafi 237 e 558.
Veniamo a conoscenza anche di quello che faceva nella vita, cioè impegnata in affari a Roma [Romae comes negotiorum socia parsimonio fulta], ed è probabilmente morta nei pressi di cartagine [Au miseram Carthago mihi eripuit sociam].

Anche se non troviamo i soliti elementi descrittivi, notiamo che il marito era molto legato alla moglie, infatti scrive che la sua vita non sarà più la stessa senza di lei [Nulla spes uiuendi mihi sine coniuge tali], la descrive come una "luce".
"Lucius" descrive il monumento funebre misero per il valore che attribuisce alla moglie [Luce priuata misera quescit in marmore clusa].

Per concludere penso che il verso "Illa domum seruare meam..." abbia lo stesso volore/significato di "domum servavit" e "domiseda".

ciao a domani

Marica Ciavarella ha detto...

Analisi del carme 516.
Prendendo in esame le coordinate di questo documento epigrafico, notiamo che abbiamo un'indicazione onomastica ovvero Urbanilla, in più sappiamo il Nome del marito nonché dedicante, Lucius.
Troviamo anche qui l'espressione della struttura segnaletica e incipitaria [hic sita est] anche se a differenza degli altri documenti analizzati non viene menzionato come primo elemento ma successivamente, con 'est'- la persona dell'assenza, quindi sappiamo che non ci sarà una forma dialogica in questa iscrizione.
Si fa riferimento inoltre a due luoghi conosciuti dai due coniugi come Roma dove hanno svolto delle attività insieme e Cartagine probabilmente il luogo in cui è morta la donna.
Anche qui troviamo una sorta di descrizione della donna\defunta, e se anche è vero che ci sono degli elementi innovativi in questa descrizione troviamo anche espressioni che riprendono la tradizione dello stereotipo della donna, ovvero, riservata, piena di timore di vergogna o di pudore [verecundia plena] o anche radicata nella parsimonia [parsimonio fulta] che è, secondo me, un sinonimo del già trovato 'frugi'. Ma dopo aver posto la sua iscrizione nella tradizione Lucio cerca di andare oltre, infatti qui si fa allusione ad altre doti della donna che sono rare da trovare ma che mi verrebbe da paragonare al Carme 548 analizzato insieme alla professoressa, in cui si fa riferimento alla [compari dulci suae incomparabili solae] dove cioè il committente\marito metteva sua moglie al suo stesso livello, parlava di lei come di una compagna, quindi con un valore paritetico, così anche nel carme 516 [Romae comes negotiorum socia] troviamo un nesso al rapporto paritario dove la donna è vista come compagna, socia nelle attività e come una moglie che, sì ,adempiva ai suoi compiti come [illa domum seruare meam] custodire la casa, ma era anche [illa et consilio iuuare] una moglie che poteva esprimere dei pareri e dar consiglio e aiutare il marito. Altri elementi che voglio sottolineare sono l'allusione alla luce e al marmo [marmore clusa] quasi in una sorta di ossimoro tra la luce della vita e del matrimonio e il buio della morte rappresentato figurativamente con il marmo con cui è stata ricoperta la donna, per assicurarle il riposo. Ultimi elementi da considerare sono la Spes, la speranza,[Nulla spes uiuendi mihi sine coniuge tali] o meglio forse dovremmo dire la Di-Sperazione [Nulla spes], il non aver più speranza di vivere senza la sua donna, che le è stata portata via dalla Sorte, dal Fato (ultimo elemento da notare) [Anc nobis sorte dedit fatu, cum luci daremur] la sorte che è comune a tutti, il destino che ci è stato assegnato nel momento in cui siamo nati, (quando siamo stati messi alla luce) [cum luci daremur]. A livello morfologico ho notato due elementi che possono farci riflettere, 'Anc' e 'Fatu' soprattutto quest'ultimo mi riporta al carme548 analizzato in classe, dove abbiamo trovato [toru maritale dilexit], il letto coniugale, dove avevamo ipotizzato o un errore del lapicida o il riportare graficamente un elemento tratto dalla lingua parlata dove le finali in -m e in -s tendono ad essere eliminate. Spero di aver espresso il tutto in un modo consono. A presto. Maria Carmela Ciavarella.

Grazia De Nicolò ha detto...

Commento dell’epigrafe funeraria 516.

Analizzando il testo con le modalità apprese a lezione, deduco elementi tipici del canone epigrafico nell’ambito dei defunti di sesso femminile, accanto ad altri inconsueti.
In questo caso l’hospes ricava subito il nomen singul della defunta, Urbanilla, che apre il componimento al posto della tradizionale struttura segnaletica [Hic sita sum / est], ma manca di ulteriori elementi onomastici (il cognomen o altre designazioni affettive) come anche i riferimenti all’età.
Possiamo supporre il luogo della sua morte, Cartagine.
Come già accennato, degno di nota è la struttura segnaletica in III persona che sposta il messaggio in un’altra dimensione (Hic sita est, “qui giace”, assume una caratteristica atemporale).
In genere gli elementi comuni a tutte le epigrafi dedicate alle donne sono la successione di aggettivi, virtù, che finiscono per essere considerati stereotipati. Esempi già trattati possono essere frugi, pia, ignara alienum, doti necessarie all’interno di una società fortemente misogina. Ma in questa particolare noto invece come Urbanilla sia celebrata per doti innanzitutto professionali, oltre che per quelli di amministrazione della casa e consiglio. A mio parere dimostra un profondo legame paritario che il dedicante, il coniuge Lucio, rivela attraverso termini come socia e comes, e non solo, anche una forte devozione [nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali], attraverso notazioni cariche di sofferenza ben oltre il classico componimento. Un altro esempio, letterariamente rilevante, può essere l’elemento della Luce, come la vita, che è spenta dal marmo che la copre [Luce privata misera quescit in marmore clusa] e che le è stata strappata dal fato. Il destino viene espresso nel latino fatu, a cui probabilmente possiamo far risalire l’errore del lapicida nel copiare termini che, in questo caso, avrebbero dovuto terminare nella lettera m, ma che viene risucchiata sul piano fonetico, costituendo un errore nella scrittura.

Antonia Laddaga ha detto...

Spero che il mio commento,molo ma molto abbozzato,non sia tanto dissimile dalla realtà ^_^

Prendendo spunto dal procedimento utilizzato in aula per la comprensione delle altre iscrizioni notiamo subito che:
1.Anche questa iscrizione è rivolta a un personaggio femminile.Abbiamo un solo elemento onomastico,che identifica la defunta Urbanilla,a differenza ad esempio dell'iscrizione 548 dove ritroviamo 3 elementi onomastici=nome,cognome,"soprannome"(indicazione però abbastanza rara)
2.La"tipica"struttura segnaletica,ravvisabile nell'espressione"hic sita est"(qui è sepolta,deposta la defunta)di solito posta come apertura dell'iscrizione ma qui collocata in chiusura del verso,la quale ci fa dunque capire l'importanza del monumento.
3.Riconosciamo il luogo della morte della donna e cioè Cartagine("miseram Carthago mihi eripuit sociam")ma non ritroviamo alcuna annotazione di tempo(non viene precisata l'età e quindi non conosciamo la quantità di tempo che ha vissuto Urbanilla).
Probabilmente doveva essere una giovane donna,questo a mio avviso,è definito dal carattere sofferente di alcune espressioni utilizzate da Lucio(marito e dedicante del monumento:"Lucius ego coniunx hic te marmore texi").Espressioni che esaltano il dolore di quest'uomo,del tipo:"Nulla spes uiuendi mihi sine coniuge tali", per dire che la vita non sarà più la stessa cosa senza di lei.Ancora:"Luce priuata misera quescit in marmore clusa",la vita che oramai è finita,identificata nella luce che si è spenta dal marmo che chiude il sepolcro.
4.Appaiono alcuni degli aggettivi riscontrati nelle epigrafi precedenti che connotano la donna,la quale è descritta come una donna intelligente non solo custode e amministratrice della casa("Illa domum seruare meam")ma consigliera("illa est consilio iuuare")e sopratutto impegnata a Roma nell'attività commerciale,quindi socia in affari("Romae comes negatiorum socia parsimonio fulta")e quindi donna parsimoniosa.Una descrizione che probabilmente dà per scontato che i valori come la castità,la fertilità o la fedeltà nei confronti del marito siano appartenenti a Urbanilla;e che mette in risalto un elemento innovativo quello del ruolo di attiva collaboratrice nella coppia.Così facendo il marito"sembra metterla sul suo stesso piano".

Claudia Gadaleta ha detto...

Mi collego a ciò che hanno scritto i miei compagni-colleghi tenedo come punto fermo il fatto che siamo tutti d'accordo sulle indicazioni principali riguardo al committente, al destinatario, al luogo di morte e agli "standard" epigrafici del tempo circa la descrizione della defunta. Elementi nuovi, caratterizzanti si trovano, a mio parere, nel forte riscatto della figura della donna, non solo moglie e madre (anche se in questo specifico caso non sappiamo se Urbanilla lo fosse o meno) ma ricordata addirittura come "socia", posta dunque sullo stesso piano dell'uomo/marito che ora non può farne a meno[nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali]. La "luce" dunque si è spenta anche per lui, quella stessa luce incarnata in una moglie che ha illuminato la sua vita con preziosi consigli ed ha amministrato al meglio la sua casa.
Il ricorrente riferimento al marmo e dunque al luogo dove ora Urbanilla riposa, mi fanno pensare all'importante rito della sepoltura. Con il suo marmo Lucio ha garantito alla sua amata moglie la pace dell'anima e seppur a malincuore si trova dinanzi ai reciproci confini : ciò che li separa ora è appunto quel marmo!
La partecipazione emotiva di quest'uomo è diretta e coinvolgente ma soprattutto sincera poichè con il suo grido di dolore per la perdita, quest'uomo ha (forse inconsapevolmente) impresso nella pietra un messaggio singolare,unico e del tutto personale che diversifica la memoria di questa donna da altre migliaia...alla fine, anche noi forse non avremmo mai conosciuto Urbanilla se Lucio non fosse stato così amorevole da caratterizzarne il ricordo.

Nicoletta Mongelli ha detto...

Salve colleghi/e... ho cercato di dare una mia interpretazione, non proprio certa dell’esatta traduzione. Siamo qui per confrontarci no!?

L’iscrizione 516 fa riferimento a Urbanilla, una donna molto riservata e parsimoniosa, della quale non è indicata l’età (a differenza delle altre epigrafi), morta presumibilmente a Cartagine [Carthago eripuit]. Il committente del “monumento” è Lucio, suo marito, del quale era non solo compagna di vita, ma anche affidabile socia d’affari. Ci troviamo quindi di fronte ad un rapporto coniugale insolito. A sottolineare lo stretto legame fra i due è l’uso frequente di termini come coniux, comes, sociam, coniuge.
Purtroppo il destino [anc nobis sorte dedit fatu] fu crudele nei confronti dell’uomo che, senza la sua compagna, non ebbe nessuna speranza di vivere. La coniuge avrebbe dovuto custodire la casa e aiutarlo nelle decisioni, cioè svolgere quelle che erano le normali mansioni di una moglie. Invece la donna era sepolta lì, privata della luce ed infelice, chiusa nel marmo [in marmore clusa] con il quale lo stesso marito l’aveva ricoperta.

Trovo di fondamentale importanza la presenza, all’inizio dei versi 7e 8, della parola luce che riprende il nome Lucius, e che ritroviamo ancora una volta a conclusione dell’epigrafe [cum luci daremur] quando veniamo alla luce, cioè al momento della nascita. La luce quindi, simbolo di vita, è una sorta di filo conduttore, è la speranza di un qualcosa che va al di là della morte.
A differenza delle precedenti epigrafi possiamo ricavare altre informazioni come il probabile luogo della sepoltura (Cartagine) e quello in cui i coniugi svolgevano la loro attività (Roma).

A domani!
Nicoletta Mongelli

Pedico Luisa ha detto...

Salve Professoressa,
Analizzando l'epigrafe 516 e ponendola a confronto con le altre epigrafi analizzate in aula si possono evincere similitudini e divergenze. Partendo dal presupposto che l'epigrafe sia scritta in memoria di una donna, una certa Urbanilla (nomen singulum), apprendiamo anche che la suddetta sia moglie tanto cara e compianta dal marito Lucio (committente stesso dell'epigrafe). La vita della donna è sintetizzata in pochi versi, nel componimento non è esplicitata l'età in cui è sopraggiunta la morte però ne è specificato il luogo (Cartagine) in cui ella, in un giorno ignoto di un dato anno, perì. Un elemento tipico in questa epigrafe, è il “clips virtutum”, ossia il “medaglione”delle virtù del defunto, realizzato con aggettivi che ricalcano il modo di essere del defunto, con la caratteristica diffusa e presente in ogni epigrafe matronale che si rispetti, della donna custode e amministratrice della casa (“illa domum servare meam”). In essa si risaltano anche la capacità della donna di consigliare il marito in merito ad affari di consueto non competenti alle donne, elemento che diviene un vanto da parte del vedovo, parecchio orgoglioso della moglie. Questa questione sottolinea la peculiarità di matrona unica e insostituibile in quanto non tutte le donne potevano essere istruite all’ epoca e di conseguenza sviluppare una capacità critica di giudizio. Bisogna dedurre quibndi che Urbanilla fosse una delle poche donne istruite della comunità. Lucio però non tralascia l’abilità della donna anche nelle faccende di casa, consonamente al suo ruolo di angelo del focolare (“bene gestis omnibuscun in patria […]“). Il marito accentua anche lo stato di perdizione in cui è precipitosamente caduto, denunciando quasi una forma di “dipendenza”dall’amata, spinto dalla consapevolezza di non trovare in nessun altra donna talune qualità (“nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali […]”). Degna di nota è la metafora che identifica la defunta con il bagliore e il calore emanato dalla luce, tale “luce” è ora rinchiusa in una cassa (“luce privata misera quescit in marmore clusa”) di marmo, fredda e gelida (ossimoro: luce calda/cassa gelida). Il committente nell’ultimo verso (“anc nobis sorte dedit fatu, cum luci darentur”), non fa altro che realizzare e accettare quella che è la sorte comune a noi tutti, quasi a voler accogliere e accettare la morte, rassegnandosi al fato, unico appiglio concreto (antico e forse contemporaneo) a cui potersi aggrappare, quando si subisce una perdita.
Cordiali saluti, prof.

stefania scava ha detto...

Salve Professoressa.
Analizzando questa epigrafe, possiamo individuare sia un destinatario, in questo caso Urbanilla, che il suo committente, il marito Lucio e la scelta di quest’ultimo di dar spazio agli elogi e ai sentimenti che nutre nei confronti di sua moglie, tralasciando invece riferimenti riguardanti l’età, riscontrabili invece negli altri C.I.L. esaminati durante le lezioni.
Possiamo individuare il MEDAGLIONE con quella serie di aggettivi che inquadrano Urbanilla quale moglie piena di verecondia, o sua compagna d’affari, parsimoniosa.
Si noti come Lucio tenda ad elogiarla non solo per i suoi incarichi domestici, (ritenuti per quell’epoca impiego principale assieme al ruolo di madre ), enumerati solo in seguito ad altri suoi pregi, ma anche come persona alla quale rivolgersi per consigli, collaboratrice dei suoi affari e compagna di viaggi probabilmente lavorativi.
Queste precisazioni sono fuori dai soliti dettami imposti dal pater familias, poiché le donne, relegate fra le mura domestiche, non accompagnavano né prendevano parte ai lavori d’affari e sfata uno status ben radicato nella scala sociale.
Un altro elemento a mio avviso importante è che il committente si introduce solo a fine lettura, preferendo esplicitare anzitempo gli elogi ad Urbanilla: è insolito che un uomo esponga così apertamente i pregi di sua moglie, come anche i cenni al suo dolore.
Si precisa inoltre che la donna giace sepolta coperta dal marmo, elemento che si frappone tra il corpo di ella e la vita terrena: sembra che si identifichi con esso il simbolo di chiusura, che impedirà alla luce di far breccia intorno ad Urbanilla, proprio la stessa che identifica la vita.
Da notare infine come la struttura “HIC SITA EST”, presente sovente nell’incipit, venga inserita a fine verso e come questa formula non metta in relazione il fruitore con la defunta, poiché manca la STRUTTURA DIALOGICA che prevede una presentazione personale del destinatario e una connessione delle parti.
Arrivederci

stefania scava ha detto...

Salve Professoressa.
Analizzando questa epigrafe, possiamo individuare sia un destinatario, in questo caso Urbanilla, che il suo committente, il marito Lucio e la scelta di quest’ultimo di dar spazio agli elogi e ai sentimenti che nutre nei confronti di sua moglie, tralasciando invece riferimenti riguardanti l’età, riscontrabili invece negli altri C.I.L. esaminati durante le lezioni.
Possiamo individuare il MEDAGLIONE con quella serie di aggettivi che inquadrano Urbanilla quale moglie piena di verecondia, o sua compagna d’affari, parsimoniosa.
Si noti come Lucio tenda ad elogiarla non solo per i suoi incarichi domestici, (ritenuti per quell’epoca impiego principale assieme al ruolo di madre ), enumerati solo in seguito ad altri suoi pregi, ma anche come persona alla quale rivolgersi per consigli, collaboratrice dei suoi affari e compagna di viaggi probabilmente lavorativi.
Queste precisazioni sono fuori dai soliti dettami imposti dal pater familias, poiché le donne, relegate fra le mura domestiche, non accompagnavano né prendevano parte ai lavori d’affari e sfata uno status ben radicato nella scala sociale.
Un altro elemento a mio avviso importante è che il committente si introduce solo a fine lettura, preferendo esplicitare anzitempo gli elogi ad Urbanilla: è insolito che un uomo esponga così apertamente i pregi di sua moglie, come anche i cenni al suo dolore.
Si precisa inoltre che la donna giace sepolta coperta dal marmo, elemento che si frappone tra il corpo di ella e la vita terrena: sembra che si identifichi con esso il simbolo di chiusura, che impedirà alla luce di far breccia intorno ad Urbanilla, proprio la stessa che identifica la vita.
Da notare infine come la struttura “HIC SITA EST”, presente sovente nell’incipit, venga inserita a fine verso e come questa formula non metta in relazione il fruitore con la defunta, poiché manca la STRUTTURA DIALOGICA che prevede una presentazione personale del destinatario e una connessione delle parti.
Arrivederci

Maria Sara Beltempo ha detto...

L'iscrizione funebre 516 presa in analisi si apre con l'indicazione del nome della defunta, Urbanilla, il solo elemento onomastico (nomen singulum) presente nell'epigrafe. Da una prima sommaria lettura si può subito notare la mancanza di ogni tipo di indicazione cronologica e la ricorrente struttura segnaletica ''hic sita est''( in questo caso non incipitaria ma posta in fin di verso),che sottolinea l'importanza del monumento e della memoria legata al luogo della sepoltura. Inoltre,sin dalla terza parola presente nel testo, ''coniux'', si deduce una precisa collocazione della defunta nell'ordine sociale: si tratta, difatti, di una donna sposata alla quale il marito dedica il proprio pianto di dolore.Committente e dedicante dell'iscrizione è,quindi, il marito Lucio, il quale pare quasi annullarsi dinanzi alla morte della moglie e proiettarsi in un futuro che sembra non offrirgli alcuno spiraglio di luce, un futuro in cui non gli resta più alcuna speranza di vita senza la sua amata [Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali].Sebbene nel testo non si utilizzi il ricorrente verbo ''diligere'' ( tratto topico ritrovato in altre iscrizioni), i versi lasciano trasparire la grande complicità che c'era tra i due e il profondo amore che l'uomo ha nutrito per la moglie, un amore che, a mio avviso, va oltre ogni luogo comune e che li ha uniti non solo nella promessa matrimoniale, ma anche nella vita di ogni giorno, che li ha visti anche compagni d'affari.Dal testo, inoltre, si può delineare un tratteggio delle qualità della defunta. Si tratta di una donna dotata di moderazione e parsimonia, che sapeva amministrare bene la casa.Ciò che appare insolito è che, accanto a questa immagine stereotipata della donna romana che si occupa della custodia della casa,si pone in maniera quasi antitetica la sua capacità di dare consigli( qualità, questa, che veniva solitamente associata ad un uomo e che risulta insolita per una donna proprio se si considera la posizione da questa ricoperta nella società del tempo); si tratta di un carattere peculiare che spicca nel testo quasi voglia sottolineare l'importanza che questa donna ha avuto per l'uomo, poiché non è stata solo moglie, ma anche punto di riferimento nelle sue decisioni e nella sua vita. A quest'uomo, al quale Cartagine ha portato via la donna amata( Cartagine indicherebbe il luogo in cui si è spenta Urbanilla), non resta che racchiudere e proteggere il ricordo della moglie in quelle malinconiche parole incise sul marmo della lapide [hic te marmore texi].Ormai la donna riposa in quel luogo oscuro, ''clausa in marmore'', dove non sarà più illuminata dalla luce della vita, ma dalla sua stessa luce che continuerà a vivere nel ricordo di chi resta.L'iscrizione si chiude con un profondo senso di rassegnazione del marito dinanzi al destino, contro cui nulla si può, che ci accomuna e accompagna dal momento in cui veniamo al mondo.
Questa è l'interpretazione che ho dato all'iscrizione. Sperando di aver almeno in parte compreso il testo, attendo un confronto diretto con tutti. A domani! :)

Madia Marzolla ha detto...

Salve a tutti,
analizzando l'epigrafe nr.516 ho potuto constatare che,oltre le varie formule che avevamo già trovato nelle epigrafi lette e commentate insieme in aula,traspare un sentimanto più profondo e la volontà di Lucio(marito e dedicante)di esprimere il dolore per la perdita della moglie.L' uomo non sembra tanto preoccuparsi di attirare l' attenzione del visitatore, quanto di esprimere l' amore nutrito per la compagna e il grave distacco provocato dalla sua morte.
Spero di essere stata chiara nel mio commento. Buona serata!

zoe carolillo ha detto...

Buona sera professoressa, mi scuso per aver pubblicato solo ora il mio commento.
Analizzando l'epigrafe funeraria n° 516 immediatamente ci viene dato il nome del defunto, sempre di sesso femminile, come nelle altre iscrizini analizzate in classe:Urbanilla. Il dedicante è il marito:Lucio.
Anche qui troviamo la tipica forma "hic sita est" come nelle epigrafi n° 237 e 558 per indicare che la defunta si trova dove è il monumento.
Questa iscrizione però è priva di una datazione e della "struttura dell'appello al passante" cha da una profonda visibilità comunicativa al monumento:"asta ac pellege".
Il marito Lucio descrive la sua amata attraverso stereotipi:"socia parsimonio" donna parsimoniosa, "domum servare meam" amministratrice della casa.
Ma aggunge anche un aggettivo inusuale, e per questo personale:" socia", consigliera nei viaggi di affari del marito. Cartagine è il luogho, da quanto ho capito, della sua morte.
Il dolore per la moglie perduta traspare negli ultimi versi.
Lucio infatti afferma che la sua vita non sarà più la stessa senza di lei.
Inoltre la descrive come una luce che non può essere valorizzata da una misera lapide marmorea:"Luce privata misera quescit in marmore clusa".
Spero de essermi espressa correttamente. Cordiali suluti. Carolillo Zoe Maria.

Mary ha detto...

Salve,
noto subito che questa epigrafe rispetto alle altre presenta una formula di apertura più commossa del marito/committente, che tiene a sottolineare subito lo stato civile della donna "mihi coniunx", prima di elogiarla con un aggettivo steriotipato (uerecundia). Inoltre Urbanilla oltre a occuparsi di suo marito, lo aiutava negli affari e lo consigliava (forse i due avevano una bottega).Infatti i due coniugi pare abbiano un rapporto alla pari (almeno da come lo descrive suo marito).
Sulla morte della donna non abbiamo informazioni è questo mi fa pensare a una morte violenta e in età non troppo adulta. Probabilmente proprio per la sofferenza legata al cordoglio si evita di specificare l'età.
L'aggettivo possessivo mihi è troppo ricorrente, è quasi un' ostentazione.

Federica ha detto...

Premetto che è la primissima volta che traduco tutta sola un testo latino!

La destinataria dell'epigrafe ha come nome Urbanilla.Il primo aggettivo che utilizza il dedicante,che come si leggerà nei versi successivi è Lucio,suo marito, è modesta.
A prima vista si direbbe che Lucius abbia dato una spiccata importanza alle doti in ambito di affari della moglie (la definisce parsimoniosa) Inoltre si sofferma nell'esporre un particolare episodio: "Bene gestis omnibus cum in patria mecum rediret,Au miseram Carthago mihi eriput sociam"
Da questi versi si può ricavare che i due coniugi erano caduti in miseria nella città di Cartagine e che al loro ritorno in patria,Urbanilla sia stata capace di gestire in modo impeccabile ogni cosa.

Ancora nel verso successivo,Lucio afferma che senza la sua consorte lui non avrebbe avuto nessuna speranza.

La dedica continua...

Ritroviamo il termine domus (domum),ampiamente utilizzato nelle epigrafi già prese in considerazione a lezione. Soltanto a questo punto dell'iscrizione,le parole del marito mi sembrano ricalcare lo stereotipo utilizzato per qualificare una donna. La parola "domus",casa, insieme a "lana fecit" erano gli idiomi che si accostavano alle donne,le cui attività principali erano prendersi cura della casa e filare la lana.
Tale iscrizione funeraria,dunque mi è sembrata abbastanza particolare,mettendola a paragone con le precedenti analizzate,per quanto riguarda i contenuti.

Ancora Lucio parla di Urbanilla come "luce privata". Quindi personale,individuale,propria di Urbanilla,che adesso è spenta perchè giace sotto una pesante lastra di marmo. Ma Lucio,con le sue parole scolpite sulla pietra è riuscito a ridarle quella luce che le era stata sottratta dalla morte.

simona abbatangelo ha detto...

Cercando di analizzare l'epigrafe 516 ho notato innanzitutto una somiglianza con le altre iscrizioni funerarie (558,548 e 237) e cioè la struttura "Hic sita est","Hic iacet" e "Hic sita sum".
Anche se il committente, in questo caso il marito Lucio, ha scelto di inserire tale struttura ( Hic sit est) nel finale della frase per mettere ancor più in risalto la figura della moglie Urbanilla.
Egli ha scelto, come già detto in precedenza, di concentrare tutta l'iscrizione sulla figura della moglie, figura fedele, parsimoniosa e dedita al lavoro e al grande vuoto che si è creato in lui alla morte della stessa (morte avvenuta a Cartagine). Infatti, proprio per questa scelta, manca la struttura dialogica, il contatto con gli altri, l'appello al passante ("hospes").

Biagio Bellizio ha detto...

Egregia Professoressa,
cercando di analizzare l'epigrafe 516,risalta a prima vista la destinataria Urbanilla(nomen singulum);donna tanto amata dal suo coniuge Lucio(committente dell'epigrafe stessa),che eccezionalmente paragona allo stesso livello di un qualsiasi uomo colto della società,in quanto lo aiuta nel consigliarli le scelte migliori da prendere relativi ad affari di lavoro,e forse (se tradotto in maniera giusta)morì in uno di questi viaggi avvenuti a Roma.(Cartagine=paese nativo/luogo di sepoltura).Non dimentichiamoci che il coniuge-marito la elogia in quanto unica donna che amministra le faccende di casa e perciò notiamo un certo lamento,poichè lui non è all'altezza di mantenere l'ordine della propria casa,così come lo era la moglie;dunque la sua vita non sarà più la stessa senza di lei.Infine notiamo la presenza di questa luce,a simboleggiare la forza che va al di là della morte,che penetra e affida a questa miserabile pietra.

Biagio Bellizio ha detto...

Egregia Professoressa,
cercando di analizzare l'epigrafe 516,risalta a prima vista la destinataria Urbanilla(nomen singulum);donna tanto amata dal suo coniuge Lucio(committente dell'epigrafe stessa),che eccezionalmente paragona allo stesso livello di un qualsiasi uomo colto della società,in quanto lo aiuta nel consigliarli le scelte migliori da prendere relativi ad affari di lavoro,e forse (se tradotto in maniera giusta)morì in uno di questi viaggi avvenuti a Roma.(Cartagine=paese nativo/luogo di sepoltura).Non dimentichiamoci che il coniuge-marito la elogia in quanto unica donna che amministra le faccende di casa e perciò notiamo un certo lamento,poichè lui non è all'altezza di mantenere l'ordine della propria casa,così come lo era la moglie;dunque la sua vita non sarà più la stessa senza di lei.Infine notiamo la presenza di questa luce,a simboleggiare la forza che va al di là della morte,che penetra e affida a questa miserabile pietra.
Cordiali saluti.

Marco Gravinese ha detto...

ANALISI CARME 516

Diversamente dai canoni epigrafici, possiamo notare come il carme dedicato ad una donna, della quale viene specificato solo il nome e cioè Urbanilla, si apre con il “nomen singulum” al posto delle solite strutture incipitarie o anche dette strutture iniziali come “hic sita est” o “hic iacet” inseriti in questo caso a fine verso.
Sembra quasi che il marito, il committente dell’iscrizione epigrafica, voglia esaltare il soggetto dell’iscrizione e cioè la sua cara moglie Urbanilla descrivendola come una donna degna di stima. La povera defunta viene descritta come una donna brava nell’amministrare la casa, nel dare consigli utili e nel fare trattative, essendo oltre che coniuge anche socia in affari, rivelando così una condizione paritaria tra uomo e donna, non usuale a quei tempi.
In questa iscrizione appare anche il nome di una città e cioè Cartagine dove si pensa che la stessa donna abbia trovato la morte. Inoltre il marito, di cui sappiamo anche il nome, Lucio, nel verso 5, il più emblematico dell’epigrafe e quello che presenta una forte carica emotiva, esprime il suo dolore per la morte della moglie senza la quale lui non potrebbe più continuare a vivere.
Lucio è addolorato per la perdita della luce della sua vita che ora giace racchiusa nel freddo marmo simbolo della fine della vita terrena. Infatti possiamo trovare una contrapposizione tra la parola “luce” che indica in questo caso la voglia di vivere con il termine “marmore clusa” che sta ad indicare la morte, ormai sopraggiunta, stabilita dal fato.
L’ultimo verso accomuna tutti gli uomini in quanto sin dalla nascita il fato, senza distinzione alcuna, stabilisce il destino di ognuno.
Infine possiamo dire che l’utilizzo della terza persona sta ad indicare che il messaggio è atemporale in quanto rivolto all’assente, a chiunque lo legga in qualunque tempo.
Gravinese Marco

Piero ha detto...

Leggendo il testo dell'epigrafe funeraria CLE 516 mi è tornato alla mente un passo del libro dei Proverbi che, al cap, 31, elogia la "donna forte". In lei - afferma l'autore sacro - confida il cuore del marito perché "ben superiore alle perle è il suo valore".
La defunta Urbanilla sembra rispondere perfettamente a questa descrizione: appare come socia, compagna di vita preziosa ed insostituibile. E', inoltre, dotata della virtù della parsimonia ("socia parsimonia fulta") e della capacità di "domus servare meam", ossia di amministrare la casa.
Possiamo ben comprendere quale sia lo stato d'animo che Lucius prova a motivo della sua morte: la "luce", che ha abbandonato il corpo di Urbanilla sembra travolgere anche lui in una profonda disperazione, simile alle tenebre. L'unico antidoto a tutto questo proviene dalle poche parole incise sul marmo a mo' di memoriale: si tratta di parole "vivificatrici"; parole che riportano in vita - seppur nella dimensione affascinante del ricordo - Urbanilla. E' ancora una volta la memoria a sottrarre all'oblio volti, storie, gesta di chi abbiamo amato e che non è più tra noi.

Sabrina Lecce ha detto...

Buonasera.
Da un’analisi approssimativa dell’epigrafe 516 si può evincere la stessa struttura segnaletica (“hic sita est”) di altre epigrafi analizzate posta però, in questo caso, non all’inizio del verso.
Inoltre, aspetto comune agli altri documenti è la presenza del nome della defunta (Urbanilla).
Essendo il carme scritto in terza persona è il dedicante a parlare, il quale si presenta al termine dell’epigrafe come il coniuge della defunta, Lucius.
La donna viene descritta non solo secondo i canoni di brava matrona domestica bensì come piena di parsimonia e consigliera per gli affari del marito.
Un dato certo è che morì a Cartagine ma non vi sono indicazioni cronologiche perciò è impossibile avanzare ipotesi sull’età della donna al momento della morte.
Le parole di questa epigrafe trasudano amore sincero e devozione: Lucius infatti confida di non avere possibilità di riscontrare in altre donne le qualità possedute da sua moglie.
Infine vi è un drammatico richiamo alla vita spenta dal freddo marmo che ricopre l’amata compianta.

Ilaria Caprara ha detto...

Buonasera, ragazzi!
Provo anche io a dare una mia personalissima interpretazione all’epigrafe indicando genericamente ciò che ho desunto dallo studio sulla stessa. Spero di non essere “sacrilega” in alcun modo e di non recare “offese intellettuali” a chi ha studiato latino per tanti anni.

Leggendo i vostri post e confrontandoli con la mia analisi risulta indubbia che l’iscrizione funeraria analizzata si allontani dalle solite stereotipate epigrafi (pur essendo presenti alcune formule di maniera come, ad esempio, il classico “hic sita est”) ; è indubbio che la defunta Urbanilla era “maritata” con un uomo innamorato(il pensiero romantico tipicamente femminile spera sempre per il meglio) che ha rivelato il suo profondo cordoglio per la prematura o meno scomparsa della consorte; è indubbio che, rispetto alla gelida epigrafe numero 548, si noti un certo sentimentalismo a quanto pare inusitato per l’epoca(chiedo scusa per quest’ultima mia azzardata affermazione dato che non possiedo ancora gli strumenti necessari per permettermi di esserne certa, ma provo comunque a dare una spiegazione) ma quello che ha attirato la mia attenzione è, più che per il significato in sé, il fatto che questa epigrafe risulta essere l’espressione di un dolore vivo, che, come si ha avuto modo di parlarne più volte a lezione, deve essere analizzato e elaborato interiormente affinché si possa parlare di risanamento sentimentale. La volontà del vedovo di voler ricordare la moglie “infarcendo” in maniera moderata l’epigrafe di “complimenti” come “bene gestis omnibus” si scontra apertamente con la rassegnazione espressa nel “Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali” che lo induce a “intrecciare” ( a commissionare) il marmoreo monumento memoriale con la consapevolezza che il fato domina non più solo su Urbanilla, sul singolo individuo, ma sulla collettività dichiarata con un “nobis”.
Spero di aver compreso bene e di aver scritto il tutto in maniera comprensibile.

Ilaria Caprara ha detto...

Buonasera, ragazzi!
Provo anche io a dare una mia personalissima interpretazione all’epigrafe indicando genericamente ciò che ho desunto dallo studio sulla stessa. Spero di non essere “sacrilega” in alcun modo e di non recare “offese intellettuali” a chi ha studiato latino per tanti anni.

Leggendo i vostri post e confrontandoli con la mia analisi risulta indubbia che l’iscrizione funeraria analizzata si allontani dalle solite stereotipate epigrafi (pur essendo presenti alcune formule di maniera come, ad esempio, il classico “hic sita est”) ; è indubbio che la defunta Urbanilla era “maritata” con un uomo innamorato(il pensiero romantico tipicamente femminile spera sempre per il meglio) che ha rivelato il suo profondo cordoglio per la prematura o meno scomparsa della consorte; è indubbio che, rispetto alla gelida epigrafe numero 548, si noti un certo sentimentalismo a quanto pare inusitato per l’epoca(chiedo scusa per quest’ultima mia azzardata affermazione dato che non possiedo ancora gli strumenti necessari per permettermi di esserne certa, ma provo comunque a dare una spiegazione) ma quello che ha attirato la mia attenzione è, più che per il significato in sé, il fatto che questa epigrafe risulta essere l’espressione di un dolore vivo, che, come si ha avuto modo di parlarne più volte a lezione, deve essere analizzato e elaborato interiormente affinché si possa parlare di risanamento sentimentale. La volontà del vedovo di voler ricordare la moglie “infarcendo” in maniera moderata l’epigrafe di “complimenti” come “bene gestis omnibus” si scontra apertamente con la rassegnazione espressa nel “Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali” che lo induce a “intrecciare” ( a commissionare) il marmoreo monumento memoriale con la consapevolezza che il fato domina non più solo su Urbanilla, sul singolo individuo, ma sulla collettività dichiarata con un “nobis”.

Ilaria Caprara ha detto...

Buonasera, ragazzi!
Provo anche io a dare una mia personalissima interpretazione all’epigrafe indicando genericamente ciò che ho desunto dallo studio sulla stessa. Spero di non essere “sacrilega” in alcun modo e di non recare “offese intellettuali” a chi ha studiato latino per tanti anni.

Leggendo i vostri post e confrontandoli con la mia analisi risulta indubbia che l’iscrizione funeraria analizzata si allontani dalle solite stereotipate epigrafi (pur essendo presenti alcune formule di maniera come, ad esempio, il classico “hic sita est”) ; è indubbio che la defunta Urbanilla era “maritata” con un uomo innamorato(il pensiero romantico tipicamente femminile spera sempre per il meglio) che ha rivelato il suo profondo cordoglio per la prematura o meno scomparsa della consorte; è indubbio che, rispetto alla gelida epigrafe numero 548, si noti un certo sentimentalismo a quanto pare inusitato per l’epoca(chiedo scusa per quest’ultima mia azzardata affermazione dato che non possiedo ancora gli strumenti necessari per permettermi di esserne certa, ma provo comunque a dare una spiegazione) ma quello che ha attirato la mia attenzione è, più che per il significato in sé, il fatto che questa epigrafe risulta essere l’espressione di un dolore vivo, che, come si ha avuto modo di parlarne più volte a lezione, deve essere analizzato e elaborato interiormente affinché si possa parlare di risanamento sentimentale. La volontà del vedovo di voler ricordare la moglie “infarcendo” in maniera moderata l’epigrafe di “complimenti” come “bene gestis omnibus” si scontra apertamente con la rassegnazione espressa nel “Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali” che lo induce a “intrecciare” ( a commissionare) il marmoreo monumento memoriale con la consapevolezza che il fato domina non più solo su Urbanilla, sul singolo individuo, ma sulla collettività dichiarata con un “nobis”.

simona abbatangelo ha detto...

Cercando di analizzare l'epigrafe 516, ho notato innanzitutto una somiglianza
con le altre iscrizioni funerarie (558, 548 e 237) e cioè
la struttura "hic sita est", "Hic iacet", "Hic sita sum".
Anche se il committente, in questo caso il marito Lucio in questa epigrafe sceglie di inserirla nel finale della frase
per mettere ancor più in risalto la figura della moglie Urbanilla. Egli ha scelto, come già detto in precedenza,
di concentrare tutta l'iscrizione sulla figura della moglie Urbanilla, figura di moglie fedele, parsimoniosa e dedita al lavoro, e al grande vuoto che si è andato a
creare alla morte della stessa (morte avvenuta a Cartagine).
Infatti proprio per questa scelta, manca la struttura dialogica, il contatto con gli altri,
l'appello al passante ("Hospes").

Valeria Estrafallaces ha detto...

Nell'epigrafe funeraria si può individuare il nomen singulum della defunta, Urbanilla, al nominativo, alla quale è dedicato il monumento. Infatti la struttura "hic sita est" è segnaletica, perchè ci indica la presenza di un luogo di sepoltura. Non è descritta la biografia della defunta, però il carme funerario ci permette di ricordare essa, in quanto, espressione della memoria scritta.
La persona che dedica il monumento alla donna è Lucio, suo marito, che, come si nota nel verso 5 (nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali), sembra non avere più la speranza di poter vivere come prima, quando la sua donna era ancora in vita.
Nella descrizione di Urbanilla si rivelano le caratteristiche della defunta: in primo luogo la donna è messa in luce dal marito con la parola "comes", cioè compagna, che sembra avere una tendenza romantica, ma anche con la parola "socia". Con quest'ultima, insieme a "negotiorum", la donna è presentata come compagna di attività commerciali e poi come parsimoniosa(parsimonio fulta).Un altro ruolo, che svolge la donna, è l'amministrazione della casa(domum servare meam). Inoltre la defunta concede il suo aiuto in consigli (consilio iuvare).
La donna è morta a Cartagine.
Verso la conclusione Lucio si rivolge alla sua amata donna, Urbanilla,e non più al lettore, infatti utilizza il vocatico. Lucio descrive la morte della sua coniuge come "luce privata", che viene ridata alla donna attraverso le parole del marito incise nella pietra.

Roberta Favale ha detto...

L'epigrafe 516 è un'iscrizione dedicatoria di ambito funerario commissionata da un marito che,tristemente,si sente aggiogato dal Fato, in quanto è costretto a sopravvivere ad una moglie così esemplare e a soffrirne la perdita. Urbanilla,la donna in questione,viene subito definita "verecundia plena" :formula ricorrente tra le caratteristiche delle donne Romane,la verecondia è intesa come un aggettivo che racchiude timidezza ma al tempo stesso misura delle emozioni,devozione e rispetto nei confronti di qualcuno. Sembrerebbe la donna perfetta,dedita al focolare domestico come una vestale,sottomessa ad ogni volere e pretesa...E invece no! Urbanilla è una donna attiva,dotata di intelletto e di fiuto per gli affari,a tal punto da essere la consigliera prediletta del marito nei suoi "negozi".. Il termine stesso "negozio" ,ovvero la negazione dell' "otium" latino, subito ci sorprende per il fatto che rientrasse anche tra le occupazioni femminili. Il negozio non è la prerogativa più appropriata per una donna dedita alla casa e alla famiglia:questa occupazione la porta a viaggiare per il mondo (Urbanilla è sempre al seguito di suo marito,che potremmo dedurre fosse un commerciante). Eppure,per Lucio sua moglie è una "vestale da viaggio",attiva ma pur sempre dedita ai suoi compiti di brava sposa,che ogni tanto elenca quasi per non far sembrare questa moglie,così speciale per lui,troppo diversa dalle altre agli occhi degli altri..Lucio,questo marito affranto dalla perdita,sembra voler custodire il ricordo di Urbanilla senza pregiudizi altrui.. è una personalizzazione del ruolo muliebre tutta loro,di cui deduciamo la forte intesa dall'intimità delle emozioni espresse. "Portata via dalla sorte" durante un viaggio a Cartagine,ora è costretta nella tomba,privata,oltre che della"luce",di "Lucio" stesso(secondo il ricorrente espediente dell'allitterazione nell'epigrafia) il tutto coronato da una frase centrale,oltre che in senso grafico,anche e soprattutto per carica emotiva : "Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali",emblema di un dolore troppo grande da sopportare.

Simona Calabrese ha detto...

Il Carmen 516 presenta come incipit il nomen singulum della defunta, Urbanilla, della quale "parla" il marito, Lucius, committente loquens rivolto al passante/lettore.
La struttura segnaletica "hic sita est" si riferisce all'ubicazione del monumento nel cui marmo giace la defunta (in marmore clusa). La formula tipica, o per meglio dire topica, clipeus virtutis non viene, in tal caso, del tutto rispettata, in quanto presenta solo alcune caratteristiche dell'archetipo femminile romano quali parsimoniosa (parsimonio fulta), amministratrice delle faccende domestiche (illa domum servare meam) e ricca di ritegno (verecundia plena).E' inusuale, invece, che il coniuge si riferisca a lei come persona d'intelletto in grado di dare buoni consigli (consilio iuvare) e di grande utilità nella gestione degli affari (negotiorum socia). Si evince, inoltre, che sia morta durante un viaggio a Cartagine, quindi spero di non dire eresie se ipotizzo che questa iscrizione sia antecedente la prima guerra punica (264-241 a.C.). Mi sembra, infatti, plausibile un commercio tra Roma e Cartagine prima di tale conflitto e invece impossibile durante e successivamente, anche poiché leggenda vuole che sul suolo cartaginese sia stato sparso del sale perché non vi crescesse più nulla.
Penso, poi, ogni ragazza si sia lasciata commuovere dalla frase: "Non vi è per me alcuna speranza di vivere senza una moglie così" (Nulla spes ... sine coniuge tali).
Per concludere Lucio riflette sulla condizione della sua sposa privata della luce del giorno, della vita stessa per sineddoche, come è stato decretato dal fato per ogni uomo:
"Questo ci è stato dato in sorte dal destino quando siamo stati dati alla luce" (Anc nobis ... con luci daremur).

Elena ha detto...

L’epigrafe funeraria 516 è composta da 9 esametri. Una prima parte formata da 5 versi seguita da una seconda da 4 versi
1.qui giace Urbanilla, mia coniuge/moglie piena di modestia
Il primo verso si apre con il nome stesso della defunta a cui è dedicato l’epigrafe, Urbanilla, prima parola che viene letto, come se il committente volesse sottolineare l’importanza della persone che portava quel nome. “hic sita est” (qui giace) struttura segnaletica del luogo di sepolcro, solitamente posto all’inizio di un epigrafe, qui inserito invece alla fine del primo verso. riferimenti diretti alla defunta, posizionate come due colonne che proteggono il primo dato che riguarda il carattere: la modestia.
Altri dati che ci vengono forniti nella prima parte sono: Roma come luogo in cui operava e probabilmente viveva la defunta, definita: compagna/amministratrice dell’attività commerciale e socia parsimoniosa; anche Cartagine è inciso nel monumento funebre per ricordare il luogo dove la donna ha incontrato la morte. Essendo la distanza tra Roma- Cartagine di circa 1000km e non facilmente raggiungibile come al giorno d’oggi si potrebbe pensare ad un probabile viaggio per affari.
Nel quinto verso il marito esprime la totale disperazione che prova per l’assenza della donna da lui tanto stimato affermando la speranza nulla nel vivere senza di essa. Spes è una parola signum, che preceduta dalla parola “nulla” acquisisce valenza negativa.
I due punti messi a fine verso indicano un inizio di introduzione dei motivi della sua sensazione di smarrimento.
Essa era custode della casa (quindi anche in grado di amministrare la casa oltre che gli affari)
Essa aiutava a consigliare ( presa in considerazione anche sui consigli per poi prendere decisioni)
La sua luce…ora chiuso dal marmo. Un qualcosa di astratto (luce) contenuto ora in qualcosa di materiale, fermo, fissato in quel luogo, come anche la dedica incisa nel monumento, per sempre.
Nella penultimo verso troviamo il nome del committente nonché socio, coniuge, compagno, marito : Lucio, colui che l’ha coperta con il marmo.
Come frase conclusiva, Lucio esprime il suo parere sull’avere in comune, nel momento in cui si nasce (si viene alla luce) il destino che a tutti noi il fato preserva.
Definendo la sua donna “luce” , parola di cui anche il suo nome è fatto, crea un gioco di parole per evidenziare ulteriormente l’importanza che aveva nella sua vita ponendola così su egual livello.
L’iscrizione in terza persona ci fa comprendere che è il committente che ci vuole far rendere noto la personalità e tutti i pregi della defunta, descritta in un certo senso come moglie capace di compiere il suo dovere a 360° cioè non solo come “custode della casa” ma anche collaboratrice nell’attività, consigliera nelle decisioni, amministratrice, e socia parsimoniosa.

chissà...

Domenico Caldaralo ha detto...

L'epitaffio 516 ci restituisce la figura di una donna estranea a qualsiasi lettura convenzionale. Non è la moglie "dedita coniugi soli suo" dell'epigrafe 548 (quandanche taluni topoi si rintraccino nella stessa epigrafe in esame come "verecundia plena", "illa domum servare"); Urbanilla è una compagna attiva, fedele e preziosa collaboratrice del marito, se è vero che Lucio, tale è il dolore della pedita, non ha curato ancora il suo animo lacerato ("nulla spes vivendi sine coniugi tali"). Il linguaggio metaforico, alcuni riferimenti evocativi, la profondità poetica non sono indifferenti. Urbanilla è privata della "luce", laddove il fulgore è quello dell'esistenza, riposando nel marmo freddo del sepolcro ("quescit in marmore clusa"). Il marmo, gelido come la morte che sottrae il calore vitale (il cadavere cereo), è contrapposto al tepore e alla fiamma vitale della luce, ormai spenta nella tomba tetra e cieca. E così anche la luce della vita ("cum luci darentur") accostata al buoio della morte. La clausola esplicitaria è una sentenza, vagamente fatalista, quasi scontata, ma densa di significato. Il fato, arbitro inappelabile del destino dell'uomo, "ci dette in sorte" la natura mortale, un destino a tempo: nasciamo, viviamo, periamo, ma possiamo lasciare iscritta nella memoria la nostra esperienza, come ha fatto Lucio il cui amore per Urbanilla è (letteralmente) scolpito immortale nella storia.

Stefania ha detto...

Analisi CLE 516:
-l'iscrizione funeraria inizia con il nome della defunta,Urbanilla,che è un nomen singulum;non sono presenti il gentilizio,il cognome e il soprannome,come nel CLE 548 (es. Aufidia=Gentilizio,Severina=Cognome Florenti=Soprannome).Come negli altri documenti anche qui compare un destinatario femminile;
-"Hic sita est",è una struttura incipitaria che indica il monumento.A differenza del CLE 558 e del CLE 237,qui è posto alla fine della frase(descrizione in terza persona singolare che non presuppone la presenza,il messaggio viene spostato fuori dal tempo e dalla spazio);
-i dati anagrafici sono assenti,presenti invece nel CLE 548 e del CLE 558(in quest'ultimo anche gli anni di matrimonio);
-è citato il luogo della morte: Carthago;
-"illa domum servare meam,illa et consilio iuvare":due elementi di stereotipia della donna,in quanto viene indicata la custodia della casa,e il portar consiglio al marito;
-Lucius,è il marito e committente,egli pone la moglie al suo stesso livello("comes negotiorum socia parsimonia fulta");lei viene vista come una "figura attiva" all'interno della società.Questa descrizione differisce da tutte le altre dove la donna era vista come "figura passiva";
-Fatu e sorte:possiamo fare un confronto con il "toru" del CLE 548,in entrambe le iscrizioni il lapicida ha trascritto le parole secondo la pronuncia, eliminando la "m" finale;

spero vada bene.
a domani! :)

Antonella Pepe ha detto...

Salve Prof.ssa,
analizzando l’epigrafe funeraria 516 ho subito notato che non presenta una Praescription; ciononostante già dai primi versi si può venire a conoscenza del nome della defunta: Urbanilla.
Abbiamo informazioni circa il luogo della morte della donna: Cartagine.
Dalla struttura “hic sita est” si desume la presenza di un monumento dedicato alla defunta dal coniuge Lucio.
Nei versi successivi siamo in grado di comprendere quello che la defunta faceva nella sua vita, ovvero era impegnata in affari a Roma e ci viene presentata come una donna parsimoniosa (“socia parsimonio fulta”) e amministratrice della casa.
Lucio continua a descriverla come una persona di fiducia alla quale rivolgersi per consigli, nonché sua compagna di viaggi in ambito lavorativo.
Il dolore di Lucio traspare nel verso “ Luce privata misera quescit in marmore clusa” dove egli introduce il tema metaforico della Luce, attribuendolo alla sua amata, la quale però ne è stata privata a causa della morte.

Cordiali saluti

Vania Dilauro ha detto...

Buonasera a tutti,
analizzando l'epigrafe 516 è possibile notare subito la differenza nella modalità di descrizione di una donna rispetto ai carmina precedenti.
Innanzitutto essa manca di "praescriptio" e "subscriptio" ,per questo non disponiamo di informazioni di carattere burocratico immediate. Inoltre non si apre con formule di invito all'attenzione del passante, come abbiamo visto in precedenza,e ciò è forse da ricollegare al tono più intimo e personale del componimento. La prima informazione che ci ritroviamo davanti è lo stato civile della defunta ("coniunx"). Oltre a questo, il marito Lucio la presenta come "comes et socia", indicando un rapporto che riguarda anche la sfera lavorativa. Probabilmente, come detto in aula,possiamo pensare all'attività commerciale e ai rapporti tra Roma (luogo di provenienza dei coniugi) e Cartagine(luogo di morte di Urbanilla).Urbanilla è anche "miseram" nel momento in cui Cartagine la porta via dal marito, e quando riposa privata della vita, identificando così la defunta in una condizione che ricorre nella struttura delle epigrafi. Ritroviamo nuovamente la metafora della luce-vita e la formula stereotipata "domum servare", che indica un tratto distintivo delle donne romane e dell'economia domestica.
Ma Urbanilla è anche una donna che sa consigliare e dunque importante per il marito, il quale avverte la sensazione di non avere speranza di vivere senza di lei. A mio parere,
nel momento in cui Lucio è vittima del suo cordoglio, ecco che il ricordo rielaborato e la frase "te marmore texi", riferita alla sepoltura, mostrano una presa di coscienza dell'evento morte proprio nel momento in cui queste azioni si compiono. Ciò si esprime ancora meglio nell'ultimo verso, nella chiusa di tipo sapienziale di saggezza popolare
, la quale riprende una riflessione comunitaria sull'esperienza della vita, cercando di offrire una sorta di consolazione all'evento morte.

giulia barile ha detto...

in seguito all'analisi dell'epigrafe 516 notiamo come venga ben messo in evidenza il nome della defunta, in questo caso Urbanilla, anche tramite le iniziali in maiuscolo di ogni parola posta ad inizio verso (acrostico). Negli utlimi versi veniamo anche a conoscenza del dedicante, nonchè marito, della defunta, di essa vengono descritte sapientemente le qualità di moglie e compagna sia nella vita domestica che negli affari (negotia) attraverso la sua saggezza.
Un elemento tipico dell'espressione di cordoglio che spesso si ritrova nelle epigrafi è la contrapposizione luce/tenebre vita/morte, metafora qui utilizzata per trasmettere il dolore che pervade il dedicante a seguito della perdita e la sua volontà di volerlo appositamente incidere nel marmo per coinvolgere in questo cordoglio anche il semplice passante che si trovi a leggere l'epigrafe.
I dati oggettivi che se ne ricavano,inoltre, riguardano il luogo di morte di Urbanilla cioè Cartagine, e il luogo di provenienza di entrambi i coniugi: Roma, probabilmente trasferitisi in africa proprio per affari, dato che ci permette di appurare con certezza il fatto che Lucio fosse un commerciante e che Urbanilla lo seguisse nel suo lavoro.
Il componimento non presenta nè subscriptio nè praescriptio, i dati da ricavare sono interni al testo composto in esametri,si può quindi parlare di un vero e proprio componimento poetico alla cui chiusa è affidato il compito di "commentare" uno dei fatti più salienti della nostra esistenza, la morte, attraverso una sentenza quasi popolare riguardante l'approccio nei confronti della stessa a cui tutti siamo destinati nel momento preciso in cui "luci darentur" ossia ci viene data la vita.La scelta di porre in chiusura questa sorta di "morale" dell'intera epigrafe è sicuramente strategica poichè da' il giusto impatto al lettore, intenzione che si ritrova in apertura attraverso il nome della defunta e la tipica formula "hic sita est" ad evidenziare il luogo di sepoltura.
Spero di non aver tralasciato nulla.Scusate il ritardo.

Stefania ha detto...

Buona sera.
Analizziamo il CLE 516 :
Come possiamo ben notare in questa iscrizione funeraria compare il nome della defunta,cioè Urbanilla : nomen singulum,in quanto non sono presenti il gentilizio,il cognome e il soprannome, come nel CLE 548 (ES. Aufidia=Gentilizio, Severina=Cognome, Florenti=Soprannome);come nelle altre iscrizioni il destinatario è femminile.
Mettendola a confronto con il CLE 558 e il CLE 237 possiamo notare che è presente la struttura segnaletica “hic sita est”,ma qui è posta alla fine della frase(questa è una descrizione in 3° persona singolare,non presuppone la presenza,e il messaggio viene spostato fuori dal tempo e dallo spazio).
I dati anagrafici sono assenti,a differenza del CLE 548 e del CLE 558 (in quest’ultimo sono presenti anche gli anni di matrimonio),ma è presente il luogo della morte, Cartagine (Carthago).
Con “illa domum servare meam,illa et consilio iuvare” vengono espressi due elementi di stereotipia della donna:
- la custodia della casa;
- il dare consiglio al proprio marito;
Questi due elementi sono generalizzanti,caratterizzano tutte le donne a differenza del “comes negotiorum socia parsimonio fulta” che sta ad identificare Urbanilla come figura femminile attiva nella società e molto parsimoniosa.Il committente, Lucius marito della defunta,con questa descrizione,pone la moglie al suo stesso livello,a differenza delle altre iscrizioni dove la figura femminile corrispondeva ad una figura “passiva”.
Infine possiamo analizzare “fatu” e “sorte” mettendoli a confronto con il “toru” del CLE 548,visto che anche in questo caso il lapicida ha trascritto le parole secondo la pronuncia, eliminando la “m” finale.

Spero vada bene.
A domani.

Stefania ha detto...

Buona sera.
Analizziamo il CLE 516 :
Come possiamo ben notare in questa iscrizione funeraria compare il nome della defunta,cioè Urbanilla : nomen singulum,in quanto non sono presenti il gentilizio,il cognome e il soprannome, come nel CLE 548 (ES. Aufidia=Gentilizio, Severina=Cognome, Florenti=Soprannome);come nelle altre iscrizioni il destinatario è femminile.
Mettendola a confronto con il CLE 558 e il CLE 237 possiamo notare che è presente la struttura segnaletica “hic sita est”,ma qui è posta alla fine della frase(questa è una descrizione in 3° persona singolare,non presuppone la presenza,e il messaggio viene spostato fuori dal tempo e dallo spazio).
I dati anagrafici sono assenti,a differenza del CLE 548 e del CLE 558 (in quest’ultimo sono presenti anche gli anni di matrimonio),ma è presente il luogo della morte, Cartagine (Carthago).
Con “illa domum servare meam,illa et consilio iuvare” vengono espressi due elementi di stereotipia della donna:
- la custodia della casa;
- il dare consiglio al proprio marito;
Questi due elementi sono generalizzanti,caratterizzano tutte le donne a differenza del “comes negotiorum socia parsimonio fulta” che sta ad identificare Urbanilla come figura femminile attiva nella società e molto parsimoniosa.Il committente, Lucius marito della defunta,con questa descrizione,pone la moglie al suo stesso livello,a differenza delle altre iscrizioni dove la figura femminile corrispondeva ad una figura “passiva”.
Infine possiamo analizzare “fatu” e “sorte” mettendoli a confronto con il “toru” del CLE 548,visto che anche in questo caso il lapicida ha trascritto le parole secondo la pronuncia, eliminando la “m” finale.

Spero vada bene.
A domani.

Valentina Sivo ha detto...
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Valentina Sivo ha detto...

Buonasera,
è un piccolo abbozzo.
Sin dal v.1 si concentrano importanti informazioni:
-Identità del defunto (in questo caso una donna:Urbanilla, la stessa struttura acrostica dell’iscrizione propone il nome);
-il suo stato civile “mihi coniux”;
-le sue virtù “uerecundia plena”;
-in chiusura formula segnaletica “hic sita est” (ci si riferisce ad una tomba), come quasi a voler creare nella geometria del verso un inizio che si collega alla vita di Urbanilla e una chiusura che si carica della morte della donna. Proseguendo due termini chiave: “Romae” e “negotiorum” (delle attività, dei lavori) era insomma una donna amministratrice o comunque dei ruoli in ambito di alcune attività lavorative di Roma. Nei Vv 4-5 si condensa lo strazio per la perdita del committente, non prima di aver citato il luogo che ha sottratto dalla vita la compagna (“socia”) del committente: “au miseram Carthago”.
Vv 6-7 in antitesi una “domum” (che come il committente) è o meglio era, custodita da Urbanilla e un “marmore” culla di morte che custodisce Urbanilla, l’antitesi di un caldo focolare domestico della vita e il freddo monumento marmoreo e dunque morte si impone anche come contrasto luce-buio spesso ricorrenti nelle iscrizioni funerarie. Ecco poi svelata l’identità del committente al v.8 si tratta del marito della defunta, Lucio. L’esametro finale ha un valore sapienziale, di sentenza che nasce dall’inevitabile esperienza sperimentata da tutti, un’esperienza privata che diventa comune in quanto insita all’esistenza. L’iscrizione manca sia di praescriptio che di subscriptio dunque all’infuori degli esametri non abbiamo ulteriori informazioni, ad esempio non sappiamo come e quando sia morta Urbanilla, non viene specificata la sua età.
Di sicuro quello che l’iscrizione 516 in tutta evidenza lascia trasparire è la forte carica emotiva del dedicante verso la defunta: Urbanilla, il ritratto che ne viene tracciato si distanzia decisamente dall’immagine rigidamente stereotipata di cui la donna era (e forse lo è ancora) privilegiato supporto.

Domenica D'Auria ha detto...

Buonasera a tutti!io ho provato a tradurre l'epigrafe CLE 516:
(spero di aver tradotto bene almeno un rigo! )
"Urbanilla mia cognuge piena di modestia è posta qui
compagna di Roma e socia in affari sostenuti con parsimonia.
Giustamente gioivi con tutti di ritornare in patria con me,
oh Cartagine strappasti a me la povera socia!
Nessuna speranza di vivere senza questa consorte:
quella custodiva casa mia,e quella mi aiutava con i consigli.
La povera luce propria riposa chiusa nel marmo.
Io Lucio tuo cognuge ti coprii con questo marmo.
Il destino ci ha assegnati questa sorte quando siamo nati."

Il dedicante di questa iscrizione funeraria é Lucio marito della defunta Urbanilla;sappiamo che erano due commercianti di Roma e che la donna è morta a Cartagine e dato che l'iscrizione proviene dall'Africa,deduco che è stata sepolta nel luogo in cui è morta.Non conosciamo l'età di Urbanilla e probabilmente morì improvvisamente(penso questo perche Lucio usa la parola"eripuit"=portar via con violenza;strappare;sottrarre...e perche nel rigo precedente dice che lei esultava al pensiero di ritornare nella sua terra).
Ci descrive la donna come parsimoniosa,modesta,brava a consigliare e a amministrare la casa;quindi svolgeva un ruolo importante nella società(cosa inusuale)ed era un punto di riferimento per il marito che esprime il dolore e la disperazione per sua scomparsa.
Inoltre le parole "luce privata misera"che ho tradotto come"povera luce propria/individuale"secondo me si riferiscono all'anima che ora riposa.La frase finale in cui cita il destino porta a pensare che Lucio crede in una potenza superiore all'umana volontà.

Questa iscrizione è acrostica e non presenta praescriptio o subscriptio.

alessia tomanelli ha detto...

Analizzando il carme 516, notiamo che si tratta di un'ulteriore epigrafe dedicata ad una figura femminile. Nel primo verso è indicato il nome della defunta, Urbanilla moglie di Lucio, il dedicante [Urbanilla mihi coniux].
Il marito vuole far sapere che li è sepolta sua moglie, presentando la consueta formula "hic sita est"; particolarità dell'epigrafe, è che ha darci le informazioni sulla moglie defunta, è proprio il marito, oltre ad aver naturalmente aver commissionato la realizzazione del monumento funerario, poichè verso la fine del testo troviamo il verso [Lucius ego coniux hic te marmore texi]. Ulteriori informazioni ci dicono quali probabili attività svolgeva Urbanilla in vita, data la presenza di elementi "personali",oltre che di formule stereotipate sulla figura della donna [domum servare meam] [verecunda plena]; quindi sappiamo che molto probabilmente si occupava di affari con suo marito a Roma.
Per quanto riguarda le circostanze della morte, Lucio non da informazioni ma indica solo il luogo in cui è sepolta, cioè Cartagine [Carthago]. Da notare è la dimensione priva di tempo che la mancanza di indicazioni sul periodo in cui è vissuta Urbanilla o sull'età al momento della morte, crea all'interno del testo.
Negli ultimi versi è possibile percepire la sofferenza del marito quando, con le parole [Anc nobis sorte dedit fatu, cum luci daretur], si aggrappa al destino, che è l'unico in grado di decidere la nostra sorte.

antonella maria filannino ha detto...
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antonella maria filannino ha detto...
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antonella maria filannino ha detto...
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antonella maria filannino ha detto...

Soffermandoci su ogni singola lettera,di ciascuna delle prime parole dei versi del carme 516 tradotto e analizzato,ci troviamo di fronte a un primo spunto di riflessione,sia dal punto di vista tecnico,(per quanto concerne gli espedienti che spesso vengono utilizzati di supporto al linguaggio scritto in versi)che puramente poetico. Siamo di fronte all'utilizzo di uno stilema acrostico,che diventa quasi il primo e uno dei tanti modi che il dedicante dell'epigrafe,e naturalmente,colui il quale compone per suo volere l'iscrizione dell'epigrafe stessa,utilizza quasi per rimarcare il soggetto della dedica: Urbanilla.Donna nata a Roma, poichè è a Roma che è stata sepolta,e sicuramente è nell'Urbe che è stata moglie piena di parsimonia("socia parsimonio fulta"),per quello che è il dedicante dell'epigrafe,il marito Lucio,(nome con cui si presenta a nel verso ottavo),commosso come si evince dalle parole con cui prosegue nell'iscrizione.Ad alimentare la suddetta commozione,quasi certamente vi è la morte di Urbanilla ,"eripuit" strappata via,nel senso di strappata con forza incontrastabile, da una terra da sempre nemica di Roma,Cartagine.Questo tratto malinconicamente descritto nel verso quarto,rimarca dunque la sorte beffarda che è toccata alla defunta. Morire lontano dalla propria patria. Per violenta mano nemica?Questo non ci è specificato nell'epigrafe,è più probabile che i due coniugi si trovassero a Cartagine per affari commerciali.Tuttavia quel dolore della morte non in patria che accompagnava nell'Ottocento,i timori dei grandi intellettuali,è già presente in questo momento storico a Roma,capitale del più grande impero mai esistito.Altro elemento predecessore dello spirito Romantico tipico ottocentesco e foscoliano è inoltre la presenza di parole come "spes"( la speranza nel nostro caso che sembra perdersi per il coniuge rimasto solo,senza la sua compagna accanto),e "luce";è consuetudine dall'Ottocento fino ai giorni nostri,accostare in modo quasi filologico,il sostantivo luce a quello di vita,e il sostantivo sera,tenebre,buio,all'intero concetto di morte,la fine dei nostri giorni.I Romantici ne avevano fatto un "concetto manifesto" della propria poetica,e Foscolo nella sua "Alla sera",una commovente constatazione della vita,destinata a perire insieme al corpo,e all'anima. Si sarebbero salvate per il poeta le "illusioni".la Gloria,la Virtù,l'amore per la Patria,le attitudini positive alla vita,quelle sì,si sarebbero salvate,e avrebbero continuato a vivere nella mente di chi c'è ancora,tramandandosi di spirito in spirito come paradigma di rettitudine del vivere. Ebbene da una singola parola "luce" anche se in senso più ridimensionato nella nostra epigrafe, poichè questa moltitudine di concetti foscoliani,non è ancora messa in ordine,riusciamo a scorgere un gran numero di riflessioni e a farle nostre sin dal quarto verso per poi arrivare alla clausola quando leggiamo in un'attenta traduzione letterale:"Il destino ci ha dato questa sorte(la morte),quando siamo dati alla luce(quando nasciamo)". Nel momento in cui nasciamo,siamo un attimo più vicini alla morte. Il modo con cui l'autore dell'epigrafe gioca fino alla fine con i vocaboli, è il migliore dei tecnicismi scelto per esplicare concetti che letti alla luce del presente risultano assai vicini alla nostra cultura contemporanea. La letteratura che crea,condiziona e scavalca i secoli.

liliana masellis ha detto...

Il carme funerario numero 156 è composto da 9 versi e si apre con un "nomen singulum" ovvero il nome della defunta Urbanilla; in questo stesso verso c'è una struttura segnaletica tipica delle iscrizioni funerarie "hic sita est".
E' un iscrizione singolare perchè il dedicante, suo marito Lucio in primis esalta il ruolo di Urbanilla come compagna d'affari e sua consigliera:"comes negotiorum socia parsimonio fulta, bene gestis omnibus cum in patria mecum rediret", "consilio iuvare" senza la quale perde ogni speranza vivendo. Dopo aver esaltato questo tratto della moglie si evince anche il tratto comune della donna antica, colei che si prendeva cura della casa "domum servare".
Non ci sono riferimenti a figli, probabilmente non ne avevano.
Nel IV verso è specificato il luogo che gli ha strappato via la tanto amata Urbanilla: Cartagine.
Nel terz'ultimo verso c'è una contrapposizione tra la luce di cui è stata privata e il freddo marmo della lapide in cui è costretta a giacere "marmore clusa".
L'iscrizione si chiude con una sentenza, con l'accettazione del destino che con la morte accomuna tutti gli uomini.

Simona Cassano ha detto...

Commento all'epigrafe 516:

Da una prima lettura dell'epigrafe si evince subito che manca la tipica struttura incipitaria (hic sita sum) presente alla fine del verso. L'iscrizione è dedicata ad una donna, Urbanilla, moglie di Lucio. Entrambi erano commercianti e proprio Lucio evidenzia questo dato quasi a delineare una sorta di "anomalia" per la donna dell'epoca la quale era soprattutto dedita alle faccende domestiche. E' presente, inoltre, il tema dell'allontanamento dalla patria(Roma), infatti la donna muore a Cartagine, una terra straniera. Vi è quasi una personificazione della città che ha "portato via" Urbanilla a suo marito (au miseram Carthago mihi eripuit sociam). Lucio appare molto dispiaciuto per la grave perdita tanto che afferma di "non aver più speranza di vivere senza sua moglie" (nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali). Tuttavia egli può solo compiangerla e attendere che si compia il suo destino. Si tratta di un destino quasi malefico che dà la luce (la vita) ma, al tempo stesso, comincia lentamente a spegnerla. Questo tema che contrappone la luce /la vita (luce privata misera) al buio/ morte (marmore clusa)è infatti molto ricorrente nelle iscrizioni romane.

Simona Calabrese ha detto...

Il Carmen 516 presenta come incipit il nomen singulum della defunta, Urbanilla, della quale "parla" il marito, Lucius, committente loquens rivolto al passante/lettore.
La struttura segnaletica "hic sita est" si riferisce all'ubicazione del monumento nel cui marmo giace la defunta (in marmore clusa). La formula tipica, o per meglio dire topica, clipeus virtutis non viene, in tal caso, del tutto rispettata, in quanto presenta solo alcune caratteristiche dell'archetipo femminile romano quali parsimoniosa (parsimonio fulta), amministratrice delle faccende domestiche (illa domum servare meam) e ricca di ritegno (verecundia plena).E' inusuale, invece, che il coniuge si riferisca a lei come persona d'intelletto in grado di dare buoni consigli (consilio iuvare) e di grande utilità nella gestione degli affari (negotiorum socia). Si evince, inoltre, che sia morta durante un viaggio a Cartagine, quindi spero di non dire eresie se ipotizzo che questa iscrizione sia antecedente la prima guerra punica (264-241 a.C.). Mi sembra, infatti, plausibile un commercio tra Roma e Cartagine prima di tale conflitto e invece impossibile durante e successivamente, anche poiché leggenda vuole che sul suolo cartaginese sia stato sparso del sale perché non vi crescesse più nulla.
Penso, poi, ogni ragazza si sia lasciata commuovere dalla frase: "Non vi è per me alcuna speranza di vivere senza una moglie così" (Nulla spes ... sine coniuge tali).
Per concludere Lucio riflette sulla condizione della sua sposa privata della luce del giorno, della vita stessa per sineddoche, come è stato decretato dal fato per ogni uomo:
"Questo ci è stato dato in sorte dal destino quando siamo stati dati alla luce" (Anc nobis ... con luci daremur).

Lucia di Bari ha detto...

Mi scuso anticipatamente per aver postato in ritardo il mio commento ma ho avuto problemi con la connessione. Per quanto riguarda l'epigrafe funeraria 516, che come è stato detto a lezione è riportata nel volume 8 del CIL avente il numero 152, risulterebbe databile intorno al II-III secolo d.c.
L'epigrafe, scritta in esametri dattilici, riporta un solo nome: Urbanilla, che pare essere l'unico nome riferito alla donna defunta a differenza di altre iscrizioni ,in particolare la 548 analizzata in classe, che presentano più di un nome. Non essendovi nessuna praescriptio, il nome apre l'epigrafe, ma non solo, infatti possiamo ben notare la presenza di un acrostico. Facendo attenzione, pertanto, si nota che ogni riga inizia con la lettera maiuscola e che ogni lettera se lette in verticale ci riporta al nome della defunta. Della donna non abbiamo indicazioni di cronografia biometrica, ne tanto meno sappiamo se avesse avuto figli. A parlare è suo marito Lucio che appare essere anche il dedicante dell'epigrafe ("Lucius ego coniunx hic te marmore texi"). Proprio suo marito ci da la notizia che la donna si trova lì, nella tomba dove è posta l'epigrafe; infatti sull'epigrafe è scritto "hic sita est", importante distinguerlo da "hic sita sum", poiché nella prima espressione è qualcuno a parlare mentre nella seconda, per il fatto che vi è la prima persona del verbo essere, è il defunto stesso che appare come una persona loquens e parla di sé. Il più delle volte le epigrafi si rivolgono al lettore passante, quest'ultimo però alcune volte è menzionato mentre in altre occasioni lo si deduce. Dal testo emergono quei caratteri topici della donna nata nell'impero romano, infatti è presentata come colei che sa badare alla casa,è parsimoniosa e, da altre epigrafi, possiamo aggiungere che la donna tipica si occupa di filare la lana ed è abile nelle faccende domestiche. Ovviamente, poiché sono state trovate centinaia di epigrafi che riportano questo stereotipo, si è ipotizzato che non tutte le donne dovevano avere queste abilità, e che comunque erano solo descritte secondo aspetti culturali e tradizionali che la designavano così anche se questa non era solita svolgere solo quelle attività. Ma suo marito oltre a riferirci che sua moglie era "domum sevare meam" e "parsimonio fulta", era anche "negotium socia" , cioè aiutante e socia del marito,abile nei consigli e donna che sa aiutare Lucio nella gestione degli affari. Grazie alla specificazione del luogo di morte della donna, cioè Cartagine,e alle indicazioni del suo aiuto nell'economia del marito, si può intuire la situazione sociale e politica dell'impero romano. Infatti, i due coniugi si trovano a Cartagine quando lei muore, e si presume che siano lì per affari; questo è un periodo in cui l'impero romano si stava espandendo sempre più a macchia d'olio e questo comportava un bisogno di commercializzazione tra le varie città dell'impero. Non essendo ritenuto nobile svolgere lavori mercantili da parte degli aristocratici, questi venivano affidati ai liberti o schiavi che pertanto si arricchivano diventando dei parvenu e salendo nella scala sociale.Molte volte, però, proprio perché non aristocratici, non venivano integrati nel tessuto sociale e, pertanto, loro facevano sfoggio delle loro ricchezze per mostrare quanto fossero potenti. Uno degli strumenti più utilizzati è, appunto, una tomba che sia monumentale e che presenti un epigrafe di cui quasi certamente il 90 % delle volte non era scritto dal dedicante: quest'ultimo essendo nato povero non aveva avuto un istruzione e per questo non sapeva né scrivere e né leggere.

Sperando di essere stata il più possibile chiara e precisa, le auguro una buona serata.

Domenica D'Auria ha detto...

buonasera
spero di non fare troppi errori nella mia interpretazione dell'epigrafe 516:
inanzitutto è un'iscrizione funeraria scritta in esametri ed è acrostica:ogni verso inizia con una lettera del nome della defunta Urbanilla e in tutto sono nove.
Commitente e cognuge è Lucio che affida il ricordo di sua moglie alla lapide dicendo:" Urbanilla di Roma piena di modestia è posta qui mia cognuge e socia in affari sostenuti con parsimonia"
da questi 2 versi deduciamo il luogo di origine cioè Roma e la professione svolta,erano due commercianti.
Dai due versi successivi è evidente il luogo in cui morì e forse nel momento di ritorno dal viaggio di affari:"gioivi di ritornare in patria con me,oh misera Cartagine strappasti a me la socia!". Questa iscrizione proviene dall'africa quindi deduco che è stata sepolta nel luogo in cui è morta e non nella sua terra;inoltre il verbo usato eripere=portata via (con violenza),sottratta;mi fa pensare ad una morte inaspettata e improvvisa.
Nel quinto e sesto verso Lucio esprime tutto il suo dolore dicendo: "nessuna speranza di vivere senza questa consorte:
qella custodiva la mia casa e quella mi aiutava con i consigli" e ci fa capire quanto importante fosse per lui questa donna non solo per il ruolo sociale svolto ma anche come compagna,infatti era capace di dare dei buoni consigli ed era parsimoniosa(due elementi caratteristici)brava ad amministrare la casa e modesta.
Nel settimo verso viene usato il verbo quiescere=riposare riferito alla donna che ora riposa nella tomba,nel marmo con il quale Lucio la coprì.
In fine viene inserito un commento"il destino ci ha assegnati questa sorte quando siamo nati"...a mio parere una sorta di giustificazione all'evento accaduto,come se Lucio se ne facesse una ragione;un'elaborazione del lutto.Il termine destino invece mi porta a pensare a una potenza superiore all'umana volontà nella quale probabilmente crede.

Ciao a tutti e mi scuso con la professoressa per il ritardo(problemi con internet)

Erta ha detto...

ciao a tutti!
analizzando il carma 516 possiamo notare che l'epigrafe manca di prescrizio e viene dedicata alla defunta Urbanilla.
constatiamo quanto il marito, Lucio nonchè il committente di quest'iscrizione, sia legato alla donna ormai defunta grazie all'ultima frase
"nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali" con la quale esprime una sofferenza tale quasi da trasmetterla a chi successivamente leggerà il testo.
sommariamente l'iscrizione elogia Urbanilla che come compagna di vita del commerciante Lucio lo accompagna nei suoi viaggi d'affari a cartagine(luogo della sua morte), badava alla casa e lo consigliava.
al prossimo commento :)

Graziana Montagna ha detto...
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alessia tomanelli ha detto...

Analizzando il carme 516, notiamo che si tratta di un'ulteriore epigrafe dedicata ad una figura femminile. Nel primo verso è indicato il nome della defunta, Urbanilla moglie di Lucio, il dedicante [Urbanilla mihi coniux].
Il marito vuole far sapere che li è sepolta sua moglie, presentando la consueta formula "hic sita est"; particolarità dell'epigrafe, è che ha darci le informazioni sulla moglie defunta, è proprio il marito, oltre ad aver naturalmente aver commissionato la realizzazione del monumento funerario, poichè verso la fine del testo troviamo il verso [Lucius ego coniux hic te marmore texi]. Ulteriori informazioni ci dicono quali probabili attività svolgeva Urbanilla in vita, data la presenza di elementi "personali",oltre che di formule stereotipate sulla figura della donna [domum servare meam] [verecunda plena]; quindi sappiamo che molto probabilmente si occupava di affari con suo marito a Roma.
Per quanto riguarda le circostanze della morte, Lucio non da informazioni ma indica solo il luogo in cui è sepolta, cioè Cartagine [Carthago]. Da notare è la dimensione priva di tempo che la mancanza di indicazioni sul periodo in cui è vissuta Urbanilla o sull'età al momento della morte, crea all'interno del testo.
Negli ultimi versi è possibile percepire la sofferenza del marito quando, con le parole [Anc nobis sorte dedit fatu, cum luci daretur], si aggrappa al destino, che è l'unico in grado di decidere la nostra sorte.

zoe carolillo ha detto...

Buon giorno professoressa.Mi scuso per il ritardo sul commento ma io già da martedì avevo scritto qui,ma non so per quale motivo non è stato pubblicato.
Comunque questo è il mio commento:
Analizzando l'epigrafe funeraria n°516 ho notato che immediatamente ci vine dato il nome del defunto, sempre di sesso femminile come nelle altre iscrizioni viste in aula:Urbanilla.
Il dedicante è il marito: Lucio.
Anche qui ritroviamo sempre la tipica forma "hic sita est" come nelle composizioni n°558 e 237. Questa vine utilizzata per sottolineare il fatto che il defunto si trova dove è situato il monumento.
Inoltre l'epigrafe è priva di una datazione e della "struttura dell'appello al passante", che da una profonda visibilità cominicativa al monumento:"asta ac pellege".
Il marito Lucio descrive la sua amata attraverso stereotipi: una donna parsimoniosa, amministratrice della casa. Ma agginge anche un aggettivo inusuale e quindi più personale: consigliera, probabilmente nei viaggi di affari del marito.
Cartagine, a quanto ho capito, è il luogho dove Urbanilla muore.
Il dolore per la moglie perduta traspare negli iltimi versi.
Lucio infatti afferma che non vi è per lui nessuna speranza di vivere senza di lei.
Inoltre la descrive come una luce, che non può essere valorizzata dalla misera lapide marmorea.
Sempre sulla luce, egli parla del destino, del fato:"questo(la morte) ci è stato dato in sorte dal destino quando siamo stati dati alla luce","anc nobis...".
spero di essere stata chiara. buona giornata.

Giordano Comes ha detto...

Il carme 516 presenta forme ordinarie e comuni all' epigrafe funeraria, si riscontra il nome della defunta Urbanilla, e del marito Lucio che è il dedicante dell epigrafe. In principio presenta la tipica composizione epigrafica funeraria -hic sita est- trad. -Qui giace- volta a indicare il luogo della sepoltura. In questa epigrafe troviamo evidente lo stasus familiare ricoperto dalla donna in questione, Urbanilla , tenuta in gran considerazione dal marito, ad un livello paritario dato dai sostantivi -comes,socia- trad. -compagna- elemento raro nella gerarchia familiare in età romana. Non mancano comunque i chiari riferimenti all' ideale tipico della donna romana, che doveva essere riservata, timida e discreta ovviamente elementi qualificativi del livello subalternato all' uomo.
L'elemento a mio avviso più poetico dell' intero carme è l' immagine di -luce privata- che gioca sul dualismo -assenza di luce,morte- che si va a ricongiungere con la defunta, anche l' immaggine della pietra lapidale segnacolo del luogo di sepoltura che diventa metafora della morte stessa.
Il marito sottolinea la sterilità e la povertà della lapide in confronto della bellezza e magnificenza della propria sposa un ultimo estremo omaggio a Urbanilla.

Maria Grazia Capuano ha detto...

Morire: un'esperienza inevitabile, un dolore vecchio davvero quanto il mondo. Ma le reazioni che genera sono sempre le stesse, stesse emozioni, stesse metafore, stessi ricordi. Di fronte alla morte, siamo tutti uguali. A chi in un modo e a chi in un altro, <>. Siamo accomunati da un unico destino finale e fatale. E' solo in questo momento che tutti si ricordano chi siamo stati. E a questo proposito, un'osservazione nasce spontanea: da qualsiasi parola commemorativa, colta da lettere, epigrafi, canzoni, non emerge nessuna qualità negativa del defunto in questione. Ci piace ricordare il nostro caro o chicchessia per ciò che di bello ha lasciato nei nostri cuori, sebbene in vita, magari, non sia stato di grandissima compagnia o non sia stato poi così disponibile come lo tendiamo a descrivere. Non per fare di tutta l'erba un fascio, ma questo porta a credere che la morte in realtà consenta di vedere ciò che prima non si aveva visto o non si voleva vedere, non sarebbe una novità dire che solo una volta aver perso qualcuno, ci si rende conto di quanto sia stato importante. Adesso Lucio, dall'aspetto di un dolce coniuge fiero ed orgoglioso di colei che ammira, della sua coniuge, compagna di vita, di viaggi e di affari, donna modesta e parsimoniosa, saggia consigliera e la ammira così come la ricorda, così come gli piace ricordarla: per ciò che non sarà più, se non solo nel suo cuore e nella sua mente. La sua morte, avvenuta in terra lontana, non gli lascia alcuna speranza di vita. Perché lei era la sua donna speciale, colei che aveva sempre al suo fianco, il cui corpo è ormai rinchiuso in un buio e freddo marmo. Sembra essere stata una donna meravigliosa, Urbanilla, che lascia il caro marito Lucio, della quale doveva fidarsi ciecamente anche per gli affari, afflitto e solo con il ricordo dei loro giorni pieni di sole (Barbara Streisand cantava: <> Memory). Lucio, di prima istanza, incolpa Cartagine che gliel'ha portata via, sebbene, poi, riconosca la forza del fato che prima ci dà alla luce e poi ci priva prepotentemente della stessa. E si convince di ciò con rassegnato dolore, con il dolore di una matrimonio e di una quotidianità finita e tumulata. Dunque molteplici sono gli aspetti delle parole di Lucio che colpiscono: la messa in risalto della sposa, socia e compagna, la sua migliore amica ("Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare..." Sant'Agostino), e di tutte le sue doti, l'unione così forte che l'uno, senza l'altro, non ha speranza di continuare a vivere, l'utilizzo di metafore ancora attualissime e diffusissime, i riferimenti al fato infame, l'utilizzo del pronome personale <<"mihi" coniunx>>, mia e di nessun altro, o <>: con me e con nessun altro. Urbanilla è però goccia di un passato che non può più tornare e Lucio l'ha coperta di marmo. Oh dolce Lucio, a te dedico queste parole di Sant'Agostino (:D): "La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo."

Teresa Traetta ha detto...

Dalla lettura dell'epigrafe 516, riesco a individuare alcuni elementi che fanno intuire che il testo è dedicato da Lucio alla sua compagna Urbanilla.
Il monumento è ubicato a Roma, ma la morte sembra essere avvenuta a Cartagine, luogo in cui probabilmente Urbanilla e Lucio si trovavano, perché viene sottolineato il fatto che Urbanilla oltre ad essere la sua compagna di vita lo era anche nel lavoro di commerciante (come negotiorum socia parsimonia fulta). Appare evidente, nel quinto verso, il dolore di Lucio per la perdita della moglie.
Nella clausola emerge il riferimento alla morte di Urbanilla quando dice "Luce privata" che fa pensare alla vita privata dalla morte e Lucio per tenere vivo il suo ricordo le dedica un'iscrizione.

Volevo precisare che il mio livello di conoscenza del latino non è alto (sto frequentando il corso propedeutico), per cui non sono sicura della mia breve interpretazione. Spero avremo modo di confrontarci a lezione.
A mercoledì!
Teresa Traetta.

Alina De Carolis ha detto...

Il documento n°516 preso in esame è un'iscrizione funeraria organizzata in un registro prosastico.
Il primo verso si apre immediatamente con l'indicazione onomastica,il "nomen singulum" Urbanilla ovvero il nome della donna a cui il marito Lucius dedica il monumento. Alla fine di questo primo verso troviamo la struttuta segnaletica "hic sita est" (quì è deposta). Solitamente è una formula d'apertura e l'utilizzo del verbo essere in terza persona rende l'importanza comunicativa del monumento, in quanto sposta il messaggio al di fuori del tempo e dello spazio, evitando che il ricordo della defunta possa cadere nell'oblio.
Proseguendo, non abbiamo alcuna indicazione di cronografia biometrica, ciò nonostante, ulteriori informazioni sulla vita della donna ci sono date da ben due indicazioni topografiche: Roma, dove la donna aiutava il marito nelle attività commerciali con astuzia e parsimonia (lodevole attributo per una donna del tempo) e Cartagine, dove probabilmete muore.
Il ritratto della donna si esplica in modo del tutto inconsueto, in quanto almeno in questo passaggio, non segue l'elenco di aggettivi stereotipati che ritroviamo solo dopo la disperazione del marito, il quale si rende conto che non ha speranze di una vita migliore senza i consigli di sua moglie e l'inesorabile attenzione di quest'ultima nei confronti della casa. Con queste precisazioni l'epitaffio assume un tono patetico.
La luce della donna offuscata dalle lastre di marmo ci riporta alla metaforica contrapposizione luce=vita/buio=morte.
Dal punto di vista morfologico è bene notare nell'ultimo verso la parola "fatu" a cui sicuramente manca la "m" finale. Omissione dovuta ad un errore materiale de
Il lapicida, il quale data la sua scarsa istruzione, il più delle volte tendeva a riprodurre i suoni della lingua parlata.

Angelo Coletta ha detto...

Il carme 516 pone in primis il nomen della defunta: Urbanilla. Il testo è acrostico, poichè il nome Urbanilla è anche presente verticalmente e in lettere maiuscole, lungo l'iscrizione, a inizio verso di ogni parola.
"Hic sita est" indica il luogo di sepoltura e dunque dove il monumento (dedicato alla defunta)è situato. Questa formula rappresenta l'incipit del documento.
Lucius è il dedicante del monumento oltre che marito della defunta come si può notare da: "Urbanilla mihi coniux" e "ego coniux".
Lucius parla in prima persona e si rivolge al lettore passante, descrivendo la donna amata. Come virtù descritte ci sono: "parsimonio fulta"(equilibrata), "domum servare meam"(responsabile della casa), "negotiorum socia" (compagna negli affari, nel lavoro commerciale).
Urbanilla viene considerata come una donna saggia ed abile nel dare consigli ("consilio iuvare").
La donna sarebbe morta a Cartagine secondo la descrizione di Lucio: "Carthago mihi eripuit".
Lucius mostra il suo dolore con le parole "Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali", sostenendo come sarà diverso vivere senza lei a fianco.
Verso la fine del documento epigrafico Lucio si rivolge, per mezzo del vocativo, alla donna: "Luce privata misera quescit in marmore clusa". "Luce privata" indica la morte della donna, e dunque il fatto che a lei è stata tolta la luce, ossia la possibilità di vivere. E' noto in questi termini il binomio di vita e morte, luce e buio.
L'ultimo verso ha una chiusa di tipo sapienzale, in quanto il dedicante Lucius scrive "Anc nobis sorte dedit fatu, cum luci daremur", "il destino ci ha dato questa sorte, quando nasciamo", ponendo in risalto il collegamento nascita-morte. E' una parte commemorativa. Da notare il termine "hanc" sostituito con "anc" per la riuscita dell'acrostico.
Il carme è in esametri e non possiede praescriptio.

Tara Jabul ha detto...

Epigrafe funeraria 516

Premetto che non ho fatto latino al liceo e che stò attualmente seguendo il corso propedeutico di latino.
Cimentandomi nella traduzione e analisi dell'epigrafe, noto che ad aprirla è il nome della defunta,Urbanilla,nonchè moglie,compagna del dedicante, il marito Lucio. La formula " hic sita est" ,che a confronto con le altre epigrafi si trova all'inizio, si trova dopo, probabilmente per rendere il tono della sua dedica più poetico,più lirico a livello di composizione. Una tipica caratteristica delle epigrafi funerarie è quella di realizzare un ritratto delle qualità della persona a cui è dedicata in versi e in questa il dedicante oltre a descrivere la propria coniuge come una donna che accudiva la casa ( caratteristica tipica con cui ricordare la propria moglie) , la ricorda come una buona moglie per il suo ruolo di consigliera e compagna di affari, elemento che rende particolare questa epigrafe perchè testimonia che il loro rapporto comprendeva la condivisione del lavoro del marito, degli affari. Un elemento molto raro in una società patriarcale che ci fà capire che esistono altre dimensioni di rapporto.Presso Cartagine, Urbanilla perde la vita, un luogo lontato da casa,e chissà forse proprio in un viaggio con il marito per i suoi affari. Non sono citati gli anni della donna o se avessero figli o quanti o altre caratteristiche, oltre quelle di qualità della donna, e questo ,credo, faccia percepire il tono più intimistico che connota questa epigrafe. Molto toccante è il verso " Nulla spes vivendi mihi sine coniuge tali" dove Lucio si espone,apre il suo cuore e il suo dolore ( credo sia anche questo un atteggiamento utile per superare il cordoglio ) esprimendo quanto la sua vita non abbia senso senza di lei, e come non sarà più la stessa. Altrettanto poetico e toccante è il verso "Luce privata misera quescit in marmore clusa", dove si collega la metafora della LUCE / VITA , BUIO/MORTE, che come abbiamo ribadito in aula è un concetto che viene spesso preso in considerazione nelle epigrafi per alzare il tono poetico. In tutto questo calore, si staglia una immagine fredda,quella del marmo che accoglie la defunta.

Fancesco Bacco ha detto...

Sappiamo che Urbanilla è stata una moglie, un’assidua compagna e cooperatrice della vita, sempre presente e al fianco del marito Lucio. Era la sua confidente, devota anche nelle delicate facccende commerciali. in effetti, ciò che ho percepito in primo luogo è stato proprio il voler esaltare le qualità, soprattutto intelletttive, della defunta: dandole un nome, riconoscendola come socia, riconoscendo dunque i suoi aiuti, apprezzando il suo lavoro nella gestione della casa, la sua parsimonia e modestia. non si tratta di un'epigrafe che cade appieno nei canoni, sebbene ci siano alcuni elementi comuni ad altre iscrizioni incontrate, ma il tutto è arricchito dal binomio luce/buio, vita/morte: una metafora più che mai attuale, ma a quanto pare secolare! inoltre entra in gioco il discorso della morte lontano dalla patria, e chi non ricorda i versi foscoliani a tal proposito. eppure emerge la sottomissione al destino, sì, perchè è stato lui che ha dato la luce e lui medesimo che se l'è ripresa. per questa ragione adesso Urbanilla è hic sita est, distaccata dal marito che crede non gli sia rimasta alcuna spes. io credo che Lucio abbia dato pieno respiro a ciò che questa donna, in vita, abbia significato per lui, l'acrostico personalizza ancora di più qualcosa che accomuna un pò tutti: la morte e la commemorazione del proprio caro. ma il passante viene soprattutto colpito dall'ultimo verso che invita ad un'inevitabile riflessione riguardo alla sorte beffarda. adesso vorrei concludere scrivendo la frase finale di uno dei film che più mi ha colpito:"Quante vite viviamo? Quante volte si muore? Si dice che nel preciso istante della morte tutti perdiamo 21 grammi di peso. Nessuno escluso. Ma quanto c'è in 21 grammi? Quanto va perduto? Quando li perdiamo quei 21 grammi? Quanto se ne va con loro? Quanto si guadagna? Quanto... sì... guadagna? 21 grammi, il peso di cinque nichelini uno sull'altro. Il peso di un colibrì, di una barretta di cioccolato. Quanto valgono 21 grammi?(21 grammi)".

Maria Domenica Caramia ha detto...

Buona notte…

Non so se questo mio commento verrà accettato, visto che fuoriesce dai limiti indicati… ma tentar non nuoce e visto che internet ora me lo permette, con audacia tento!

Premetto che la mia conoscenza del Latino è direttamente proporzionale all’avanzamento delle lezioni propedeutiche di grammatica latina, quindi mi avventuro in punta di piedi in questa nuova esperienza (così magari non rischio di svegliare qualcuno)!

[Epigrafe CLE 516]
Mi sono ritrovata davanti a parole sconosciute alle quali ho provato a dare, con i mezzi a disposizione, un senso:

“Urbanilla” dedicataria di questo documento è la moglie [mihi coniux] del dedicante “Lucius”, una donna onesta che vien ricordata in quel luogo, sottolineato dalla presenza del “hic sita est”.
Si colgono elementi di memoria personale non stereotipati che, comunque, si immettono in un contesto stereotipato anche se alquanto sconosciuto nella profondità di ogni individuo.
“Lucius” tesse le lodi di “Urbanilla” ponendola come sua pari, in parte esprimendosi con disperato romanticismo [Nulla spes uiuendi mihi sine coniuge tali] mostrando nel suo essere una debolezza che mai avrebbe immaginato, la mancanza del coraggio, la paura di intraprendere questo percorso chiamato vita da solo, questo potrebbe far presupporre la mancanza di figli, altrimenti (penso che) avrebbe trovato in loro la speranza di una continuità.
La presenta come una donna piena di peculiarità: una brava moglie che sapeva governare la casa, ma sapeva anche aiutarlo e consigliarlo [Illa domum seruare meam, illa et consilio iuvare], era parsimoniosa e, a quanto pare, lo seguiva durante i suoi viaggi d’affare [Romae comes negotiorum socia parsimonia fulta]. Quest’ultimo elemento è suggerito anche dalla sua morte improvvisa in un contesto lontano dalla sua terra Natale, come Cartagine [Au miseram Carthago mihi eripuit sociam].

[Luce priuata misera quescit in marmore clusa] “Parole di pietra”, “luogo della memoria”, limite tra la vita terrena ed ultraterrena, una lastra marmorea che gioca tra la luce di una donna e l’ombra, due luoghi comuni che divengono eccezionali in un contesto del genere, come metafora verso il non sapere, la non conoscenza di un post mortem; una fredda lastra che con “Lucius” porta il peso di una dura realtà [Lucius ego coniux hic te marmore texi], come se egli cercasse sostegno in quel marmo, come se fosse un modo per dimezzare le sue angosce ed i suoi timori.

“Il fato ci ha assegnato questa sorte quando veniamo messi alla luce” [Anc nobis sorte dedit fatu, cum luci darentur] così scrive, come una consapevolezza non ancora presente ma che prima o poi finirà per accadere.


Con un “speriamo il più tardi possibile”…
Vi auguro una Buona Domenica!!

M.D. Caramia

Mary ha detto...

Analizzando l'epigrafe 516 ne notiamo subito la forma ad anagramma .
Nella praescriptio il committente, cioè il coniuge, presenta immediatamente sua moglie e sottolinea il suo statuto "Urbanilla mihi coniunx". Quasi fosse una formula per evidenziare la stima nei confronti di quella donna, che definisce compagnia e socia, con la quale condivide i suoi affari e gli è addirittura d'aiuto, con i suoi consigli e la sua parsimonia.
Ma questa epigrafe non si fossilizza nel fissare la defunta in determinati attributi steriotipati, dunque riflette quasi un tentativo di superamento delle convenzioni sui costumi del tempo. Infatti si parla di una donna "completa" (non solo mamma/moglie o entrambe), dedita a suo marito e valida collaboratrice negli affari. La sua morte probabilmente è legata proprio alla sua figura di ausiliaria nel lavoro del marito.Pertanto Lucio vuole renderle onore con l'eleganza dell'epigrafe e la
lampante atmosfera romantica, sugellata dal dolore profondo a causa della perdità del suo amore. Il cordoglio sembra svuotare la vita del suo senso "Nulla spes vivendi..".
Non ci è pervenuta l'età di Urbanilla, forse vittima di una morte violenta e in età precoce. Il cordoglio quindi tende ad esorcizzare l'inaspettato evento, nascondendo così i dati evidenti e più crudi della morte. Ricorrente è nelle epigrafi l'ossìmoro della luce-buio come vita-morte. Il dolore straziante di Lucio si stempera nelle note di consapevolezza ricavate dagli ultimi versi. In cui accetta la morte come disegno divino attribuitoci dalla nascita.
Chiudo con un bellissimo aforisma di Cèline
"La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte".
P.S:(il lavoro era stato postato martedì scorso ma non è comparso sul blog, così sono stata costretta a rifarlo :(..)
Buona Serata!
Mariarosaria Pugliese

Ripalta ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Ripalta ha detto...

Finalmente, dopo diversi tentativi, non andati a buon fine, d'iscrivermi al blog posso pubblicare anch'io il mio commento.
Il soggetto dell'epigrafe 516 è Urbanilla della quale è descritta la collocazione sociale poichè "coniux".
A parte tale informazione non è presente nessuna definizione biometrica.
La donna è legata ad un tratto stereotipato che la riguarda , "domum", ossia la custodia della casa di cui il mondo femminile è responsabile.
Non è possibile definire la defunta "loquens" dato che il verbo
adoperato per riferirsi a lei è coniugato alla terza persona,"est".
L'espressione"hic sita est" rientra nella struttura segnaletica la quale delinea il luogo fisico dove è posto il monumento di cui è evidente che il committente sia il marito Lucio:
egli ha affidato alla "pietra" la memoria,durevole nel tempo quanto il materiale su cui è stata impressa.